C’è una interessante nota di Antonino Buttitta, dal titolo Elogio della cultura perduta, che potrebbe aiutarci a riflettere sulle cause che portarono l’antropologo palermitano a denunciare la cancellazione forzata della civiltà del popolo siciliano.
Un vero e proprio etnocidio provocato da un’emigrazione selvaggia e dall’imposizione, a partire dagli anni '50, di una diversa cultura attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Nel presentare il catalogo della mostra «Il lavoro contadino nei Nebrodi», organizzata a Palermo nell’ormai lontano 1977, Buttitta scriveva che un processo di riappropriazione della memoria «è possibile se non si risolve nella mera raccolta e mitizzazione museografica e archivistica di forme materiali o di cultura» ma «si dispone dell’assunzione di tali fatti nel proprio orizzonte ideologico». Quindi, non un semplice recupero di oggetti (tra l’altro, privi di un valore economico e, talora, anche affettivo), ma la necessità di operare per consentire ai siciliani una presa di coscienza delle proprie radici, mettendoli al riparo da una cultura omologata (come scriveva Pasolini) che li mistifica, portandoli addirittura a rinnegare il proprio passato, a buttare nella pattumiera gli oggetti della casa e del lavoro dei propri genitori, a vergognarsi del proprio dialetto.
Erano solo gli anni '70, ma la perdita dell’identità culturale della Sicilia aveva cause lontane e profonde. (continua)
Erano solo gli anni '70, ma la perdita dell’identità culturale della Sicilia aveva cause lontane e profonde. (continua)
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