martedì 31 marzo 2015

La "troccula", strumento per scandire il tempo della Settimana Santa a Marineo


di Nuccio Benanti
MARINEO. La “troccula” è lo strumento musicale che scandisce i tempi dei riti della Settimana Santa a Marineo.
È usata, come intermezzo, nei canti della Passione del giovedì. È impiegata per annunciare la processione del venerdì santo. È utilizzata nel corso delle giornate di venerdì e sabato per “segnare” strade e piazze con il suo suono metallico. Lo strumento marinese è realizzato con una tavola di legno duro, preferibilmente olmo, dalla quale, attraverso un foro rettangolare, si ottiene un manico per la presa del suonatore. Sui due lati della tavoletta vengono, infine, applicate delle maniglie in ferro, ognuna delle quali, una volta scossa, deve andare a battere, a destra e a sinistra del legno. Questo meccanismo ricorda quello usato nella “porta con mezzaporta” della civiltà contadina, sulla quale, appunto, veniva applicata una maniglia di ferro battente. Nel dialetto locale “trucculiari” significa anche «bussare alla porta». Ma i suoni possono essere anche interpretati come “lu scrùsciu di li catini” (il rumore delle catene) legate ai piedi di Cristo, condannato a morte. Così, nell’immaginario collettivo, le “troccule” (idiofono a percussione reciproca) percorrono le vie del paese per bussare, per chiamare a raccolta uomini buoni e peccatori che dormono, che sono distratti dal lavoro o da altre faccende, quindi insensibili al dramma che sta per compiersi: «Tri bboti cci ha passatu, ddu Gèsu di sta strata, chista è l'urtima chiamata, emulu a visitari! Tu dormi stracuratu, ti susi e nun tardari, Gesù è Sacramintatu, jamulu a visitari!»

lunedì 30 marzo 2015

Il sistema sonoro e gestuale della Settimana Santa a Marineo


di Nuccio Benanti
Nella festa della Pasqua la memoria cristiana del Dio che muore e risorge si sovrappone con il simbolismo della natura che, dopo il sonno invernale, si risveglia, rinasce. Dunque, una festa destinata a rimarcare, nelle società tradizionali, il passaggio critico dall’inverno alla primavera.
L’articolato complesso di sistemi espressivi viene, quindi, messo in atto per significare la rigenerazione del tempo umano e naturale: gesti e suoni concorrono, infatti, a rappresentare la rottura (caos), e la ricostituzione dell’ordine sociale e cosmico (cosmos). Alla morte, al cordoglio, alla penitenza iniziali si contrappongono la vita, la gioia, le manifestazioni di festa che hanno inizio dopo la mezzanotte di sabato, ma che, prima della riforma liturgica, attuata dal Concilio Vaticano II, prendevano il via a mezzogiorno. Mentre in chiesa le campane annunciavano la Resurrezione, altri suoni venivano provocati in campagna (dove si scioglievano le campane delle pecore) e nelle case, attraverso i rumori provocati con colpi di legno sui mobili, accompagnati da formule pronunciate dalle donne per scacciare il diavolo: «Brutta bestia nesci di cca, ca Gesuzzu risuscità!». A Marineo, al primo gruppo appartengono tutti quei comportamenti che denotano dolore, sofferenza, cordoglio; mentre all’altro capo si situano atteggiamenti di gioia, sollievo, felicità. Così, la vicenda di Cristo viene drammatizzata per mezzo di un codice sonoro fondato sull’opposizione funesto/lieto, che si riflette in contrasti di dinamica lento/rapido, di timbro sordo/squillante e di registro basso/acuto. Possiamo schematizzare questo sistema bipolare, in base al codice sonoro gestuale, in questo modo. Morte/lutto: piano sonoro: suono delle “troccule”; suono della tromba, seguito dal sordo rullio della grancassa; piano verbale/sonoro: i canti della Passione (“lamenti”); piano gestuale: azioni di lutto nelle case (astensione dai lavori domestici; preparazione dei “lavureddi”); nelle chiese (allestimento del “sepolcro”); e in processione (lento procedere dei simulacri dell’Addolorata e del Cristo morto). Resurrezione/gioia: piano sonoro: scampanio nelle chiese; suoni lieti della banda che accompagna il Cristo Risorto (la processione non si è svolta negli ultimi anni); piano verbale/sonoro: canto del Gloria; formule esorcistiche e augurali; piano gestuale: “lavueddi” portati in campagna; preparazione dei dolci; e in processione il rapido procedere delle statue della Madonna, Gesù Risorto e San Michele Arcangelo. I “lavureddi” vengono prelevati dai fedeli che, per tradizione, li portano nei campi di grano. Si tratta di un gesto per propiziarne il buon raccolto. Anche il dono della colomba e dell’uovo sono gesti propiziatori, di rinascita.

venerdì 27 marzo 2015

Luminaria al Calvario: Cristo è la luce che riscalda il cuore del cristiano


di Ciro Realmonte
La "luce" della croce di Cristo illumina le tenebre del Calvario, dell’oscurità del nostro mondo. La sua Luce diffonde l’amore misericordioso del nostro Dio, in Gesù fatto uomo.
E’ questo il messaggio, la notizia che si fa Uomo, che ogni cristiano deve con volontà incarnare, cioè farlo diventare storia personale. L’altra sera,  lunedì santo,  Padre Saverio, durante gli esercizi spirituali tenuti al Santuario della Madonna della Daina, ha con forza e determinazione invitato a riflettere se il nostro modo di vivere è caratterizzato dalla consapevolezza di riconoscere “Dio” che ci viene sempre incontro perché innamorato dell’uomo, oppure se abbiamo una concezione di un dio pagano Zeus, irraggiungibile e punitivo. La conversione, la Metanoia deve impegnarci in questo particolare tempo liturgico, nel rivedere il nostro modo di intendere e vivere il nostro credo e proiettarci nel "cambiar testa". In particolare la lettura della lettera di San Paolo agli Efesini (cap. 4 versetti 17-23)  ci impone,  come più volte ribadito da Padre Saverio, a non uniformare la nostra condotta come quella dei pagani. E allora potremmo capire che la luce di Cristo che irrompe dalla croce, sana le nostre ferite, rafforza il cammino, dà senso al dolore. Cristo è la luce che illumina e riscalda il cuore del cristiano, di ogni uomo. E’ questo il messaggio che il Gruppo Emmanuel vuole comunicare alla nostra comunità, attraverso la Luminaria del Calvario, che sarà realizzata il Giovedì Santo a conclusione della Liturgia “In Cena Domini” della Chiesa Madre. Da quest’anno, grazie alla collaborazione della Congregazione del SS. Sacramento, accompagneranno l’accensione delle Luci anche i fratelli che hanno rappresentato gli apostoli. Il triduo pasquale è ricco di simbologie che richiamano ai profondi e attuali valori della redenzione di Cristo, la Luminaria si inserisce nelle già ricche manifestazioni “Marinesi” della Settimana Santa. Sono i marinesi che con il loro contributo, partecipano alla sua realizzazione. Sono già trascorsi 22 anni dalla prima Luminaria del 1992, quante preghiere sono state affidate dal nostro cuore alla luce di quella piccola fiammella, per ricordare al Signore il nostro amore e invocare la sua luce che spezza le tenebre dell’indifferenza, della superficialità, del disimpegno e dell’egoismo. Con la gioia e la certezza della resurrezione di Cristo, auguri di un cammino di santità a servizio del Regno di Dio.

giovedì 26 marzo 2015

Marineo, giornata informativa su progettualità e sviluppo agricolo


di Piazza Marineo
Lunedì 30 marzo, presso la Sala-Pizzeria Anyway di Marineo, si svolgerà una giornata informativa su progettualità europea in ambito agricolo.
L'evento, organizzato dalla SOAT Mezzojuso, analizzerà i "Nuovi scenari di sviluppo per l'agricoltura delle aree interne nella programmazione comunitaria 2014/2020". La registrazione dei partecipanti è prevista per le ore 9.30. Dopo i saluti dei sindaci di Marineo e Godrano, Pietro Barbaccia e Matteo Cannella, i lavori si svolgeranno con il seguente programma: Introduzione di Carmelo Alberto Arnone - Dirigente Responsabile Soat di Godrono ex Soat di Mezzojuso. Interventi di Giuseppe Randazzo (La nuova PAC 2014/2020 in Sicilia) ed Elisabetta Di Trapani  (Prospettive del Piano di sviluppo Rurale 2014/2020). Ore 15: Relazione di Matilde Modica (Sviluppo delle aree rurali nella nuova programmazione comunitaria). Ore 16.30-17.30: Interventi e discussione. Ore 17.30: Conclusioni di Rosaria Barresi - Dirigente Generale Assessorato Regionale dell'Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea - Dipartimento Agricoltura - e di Calogero Ferrantello - Dirigente Servizio VI Assessorato Regionale dell 'Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea - Dipartimento Agricoltura. Info: tel. 091/8203626 - soat.mezzojuso@regione.sicilia.it.

mercoledì 25 marzo 2015

«Hotel Vecchio Borgo: la Fondazione "Gioacchino Arnone" danneggiata»


di Arch. Guido Fiduccia *
La Fondazione Culturale "Gioacchino Arnone" è assolutamente estranea ai recenti fatti di cronaca, che hanno visto il sequestro di tre noti alberghi a Palermo, gestiti dal Gruppo Ponte, tra i quali l’Hotel Vecchio Borgo.
La Fondazione, pur essendo proprietaria dell’immobile in cui insiste l’Hotel Vecchio Borgo, non ha alcun ruolo nella gestione dell’attività alberghiera in esso svolta ed oggetto di sequestro giudiziario. La gestione dell’albergo e della relativa attività d’impresa è esercitata esclusivamente dal gruppo Ponte. Nessun rapporto intercorre con il gruppo alberghiero Ponte, con l’unica eccezione del contratto di locazione, avente ad oggetto le “mura e gli arredi” dell’immobile in cui insiste l’hotel in questione, ed in forza del quale la Fondazione percepisce regolare canone. Inoltre, per motivi non attribuibili alla Fondazione, la gestione dell’hotel Vecchio Borgo, da più di un anno, è sottoposta ad amministrazione giudiziaria ed è condotta dall’avv. Cappellano Seminara (nominato amministratore giudiziario dal Tribunale di Palermo). Pertanto è con lui che la Fondazione intrattiene oggi i rapporti contrattuali. La Fondazione è vittima di tali incresciosi eventi, che le arrecano grave danno.
* Presidente delle Fondazioni Culturali G. Arnone

martedì 24 marzo 2015

Il grano, l’ulivo e l’ogliastro: storia di Bolognetta presso la Real Fonderia


di Piazza Marineo
Sabato 28 marzo alle ore 17.30 a Palermo, presso la Real Fonderia Oretea, Piazza Fonderia alla Cala, si presenta il volume “Il grano, l’ulivo e l’ogliastro. Bolognetta - Santa Maria dell’Ogliastro, 1570-1960” di Santo Lombino, edito dall’Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici.
Interverranno Manuela Patti, Tommaso Romano, Aldo Sparti. Coordinerà i lavori Umberto Balistreri. Sarà presente l’autore. L’incontro, aperto a tuti, è organizzato dall’Associazione culturale Nuova Busambra e da Isspe editore. Santa Maria dell’Ogliastro, oggi Bolognetta, è una delle “città nuove” sorte in Sicilia per volontà dell’aristocrazia, decisa a dare impulso alla produzione cerealicola, in seguito al forte incremento della popolazione. Grazie alla concessione di particolari benefici, molti abitanti delle città si spostarono verso i feudi a coltura estensiva posti all’interno dell’Isola. Il comune che sorse fu definito “terra dell’accoglienza” perché, trovandosi al crocevia di molte strade che da Palermo portavano ad Agrigento, Corleone e Catania, forniva nei fondaci servizi di ristoro e di riposo alle truppe, ai commercianti, ai passeggeri ed agli animali che li trasportavano. Fu definito anche “paese delle donne” perché molte di loro accudivano da nutrici ai bambini abbandonati alla “ruota dei projetti” ed erano titolari di esercizi commerciali. Da piccolo villaggio, il centro abitato diventò un paese alla fine del Settecento, quando la maggior parte dei terreni a grano, a vigneto ed oliveto venne concessa dal marchese di Ogliastro ai mezzadri, che si impegnarono nelle migliorie e nelle bonifiche. Una coltura particolare era quella del sommacco, le cui foglie essiccate, venivano esportate anche all’estero come colorante per cuoio e tessuti. Nella prima parte dell’Ottocento i “bolognettesi” parteciparono alle lotte contro la dinastia borbonica e contribuirono alla riuscita della spedizione dei Mille di Garibaldi, contribuendo all’unificazione nazionale. Probabilmente In seguito alla rivolta detta del “Sette e mezzo” (1866), in cui si registrò la morte di otto carabinieri e di un rivoltoso, il paese cambiò il suo nome da Santa Maria di Ogliastro in Bolognetta, in ricordo della famiglia nobile dei Bologna, antichi possessori del feudo. All’inizio del Novecento il 20% degli abitanti intraprese la strada dell’emigrazione, raggiungendo la città di New York e gli stati vicini, dove si formò la Società di Mutua Benevolenza dei Bolognettesi, ancora oggi attivo sodalizio di riferimento per la catena migratoria che unisce il paese siciliano agli Stati Uniti.

domenica 22 marzo 2015

Marineo, Francesco Greco raggiunge il traguardo dei 100 anni


di Ciro Guastella
Francesco Greco – don Ciccio come a Marineo lo chiamano con affetto gli anziani – raggiunge il traguardo dei cento anni, godendo di buona salute e perfetta memoria.
Francesco, quinto ed ultimo figlio di Maria Pecoraro e Carlo Greco, è nato a Marineo il 24 marzo 1915. Dotato di intelligenza e volontà, fin da giovane avrebbe voluto impegnarsi al meglio negli studi scolastici, ma fu avviato, come nel passato spesso accadeva, nell'economia e nella tradizione delle famiglie degli artigiani (il padre era esperto ebanista) al mestiere di fabbro ferraio, che per alcuni anni esercitò in verità senza eccessivo entusiasmo. Chiamato alle armi all’età di 22 anni, prestò servizio di leva a Verona per l’obbligatoria durata di due anni, congedandosi con il grado di caporal maggiore. Nel giugno del 1940, allo scoppio della seconda Guerra Mondiale, venne richiamato e, dopo avere conseguito a Palermo la specializzazione di telegrafista, fu, come tanti altri giovani, in attesa della temuta destinazione ignota decisa dalle autorità del regime fascista dell’epoca. Si trovò a Bari in procinto di essere imbarcato per l’Albania, dove prestò servizio nel Genio telegrafisti per oltre due anni col grado di sergente. Nel 1943, ignaro delle nuove vicende belliche che si erano verificate dopo l'8 Settembre con la caduta di Mussolini, in Serbia fu fatto prigioniero dagli ex alleati tedeschi vicino a Sarajevo, non senza la sorpresa e lo stupore che molti militari italiani sbandati provarono in quei frangenti. Spedito in Germania nel campo di concentramento di Oberkochen, nel bacino metallifero del land Baden-Wurttermberg, fu costretto a lavorare per due anni in un'officina meccanica che costruiva mitragliatrici. Francesco ricorda ancora oggi, col tono lieve e talvolta scherzoso che caratterizza il suo racconto, quei due terribili anni di lavoro coatto, di soprusi e di fame. Il 17 aprile del '45 morirono 59 persone: fu il giorno più terribile delle tre settimane di bombardamenti fatti dagli aerei americani su quelle stesse fabbriche dove era costretto a recarsi ogni mattina, con quel tumulto confuso di speranza e terrore che suscitava il suono delle sirene che annunciavano la gragnuola delle bombe americane. Lasciato a se stesso alla fine della guerra, tra le rovine di una Germania sconfitta, fu libero di tornare a casa nel settembre del 1945. Dopo un lunghissimo viaggio, su treni lenti e affollati, su binari semi-distrutti dai bombardamenti, rientrò finalmente, lacero e affamato, in Italia. A Marineo l’attendeva la famiglia rimasta per lungo tempo priva di sue notizie. Appena in grado di riprendere le forze, messe a dura prova dallo stato di denutrizione patita, trovò lavoro insieme al fratello Salvatore, già impegnato in attività forestali, nel bosco della Ficuzza. Inoltre, alla ripresa delle opere pubbliche che avrebbero trasformato le arretrate condizioni economiche della Sicilia, lavorò sempre col fratello nelle forniture dei materiali per la costruzione di strade e della diga dello Scanzano. Il padre Carlo, che dal 1948 al 1952 era stato sindaco di Marineo, alla fine del suo mandato, forte del prestigio guadagnatosi e della stima della cittadinanza, lo incoraggiò a dare anch'egli il suo contributo nell'amministrazione del Comune. Dal 1952, Francesco Greco ricoprì incarichi non secondari di consigliere comunale e assessore, compreso quello di vicesindaco, nelle giunte che si susseguirono. Dopo la morte prematura del fratello, diventato unico responsabile delle fortune della famiglia, ma soprattutto stanco delle lotte senza quartiere che nella politica locale andavano assumendo forme sempre meno condivisibili, Francesco prese la decisione di ritirarsi a vita privata. Don Ciccio conduce da diversi anni, quasi a ricompensa di una vita di travagli che i tempi duri della guerra gli hanno riservato, un'esistenza tranquilla, circondato com’è dalle cure e dall'affetto dei familiari e degli amici. Di recente, con visibile orgoglio, ha accompagnato all’altare la figlia Maria. Ora che ha raggiunto l'invidiabile traguardo dei cento anni, godendo di salute e una memoria da fare invidia a chiunque volesse misurarsi nel ricordo degli eventi del secolo passato, rappresenta nel paese un libro vivente di memorie, una rara fonte di notizie orali, proiettato com’è, ancor oggi, verso un futuro che gli auguriamo lungo e sereno.

sabato 21 marzo 2015

Carlo Greco: l'America e 11 anni sindaco di Marineo tra le guerre mondiali


di Ciro Guastella
Era pieno inverno a New York quando Carlo Greco era sbarcato con la nave America il 13 gennaio del 1913. Aveva 31 anni e già era sposato con Marietta, figlia di don Antonino Pecoraro, commerciante di alimentari all’ingrosso a Marineo.
Dopo avere passato con centinaia di emigranti periodo di sosta obbligatoria ad Ellis Island, assieme al cugino Onofrio Passantino, da anni residente a NewYork, cercava di piazzare la partita di vino che sarebbe arrivata da Palermo. Intendevano vendere in America quell’ottimo vino marinese come inizio, forse, di una nuova attività di esportazione, pioniera di più intensi rapporti commerciali. Carlo Greco, come annotarono le autorità di frontiera, era arrivato negli USA con 30 dollari in tasca. Molti per i tempi (il padre pastaio possedeva anche una rivendita di tabacchi), pochi per il suo carattere generoso, che diversi aneddoti narrati da chi lo conobbe testimoniano. A tal proposito, tra i numerosi atti di altruismo legati al suo carattere espansivo, si racconta che avendo incontrato per le strade della metropoli un infreddolito paesano che cercava di vendere ai frettolosi passanti semi e noccioline, mosso a pietà, gli avesse chiesto quanti dollari avrebbe potuto guadagnare quel giorno. Quando quello gli disse più o meno la cifra, mise mano al portafogli, gli diede i soldi corrispondenti raccomandandogli di tornarsene a casa per non lasciarci la pelle. “Non vedi – aggiunse scherzando – che persino le statue di bronzo (si riferiva al soprastante monumento a George Washington della piazza) indossano il mantello per il freddo che fa?” Avendo in poco tempo, com’era prevedibile, esaurito i soldi che si era portato da casa, col freddo newyorchese che lo terrorizzava e la nostalgia per il paese, decise di rinunciare al sogno americano e tornare presto al sole di Sicilia, dove lo attendeva un lavoro che, se non prometteva grandi agiatezze, gli consentiva almeno di vivere decentemente. Da giovane aveva imparato il mestiere di ebanista e, messa bottega in proprio, costruiva con successo mobilio per la clientela locale e i paesi vicini. La sua maestria si rivelava nella solidità della costruzione e nell’accuratezza dei dettagli dei lavori che eseguiva. Intagliatore estroso, costruiva i mobili secondo la moda del tempo in puro stile deco con intarsi di bella ed elegante fattura. Un cassettone e un comodino sopravvissuti alle varie vicissitudini, al degrado dettato dall’alternarsi delle mode, recentemente rimessi in ordine grazie all’amore per i mobili artigianali tornati in voga, sono in grado di competere con altri oggetti di “modernariato”. Carlo Greco fu eletto Sindaco di Marineo alla fine della prima guerra mondiale. Al conflitto aveva partecipato col grado di sergente maggiore come artigliere e tiratore scelto, per essere stato provetto cacciatore. Durante la guerra conobbe Gabriele D’Annunzio che, ammirato dai consigli che era in grado di suggerire ai superiori per migliorare il sistema di mira dei cannoni, gli fece pervenire in dono un paio di occhiali da sole. Dell’illustre “comandante” Greco ricordava, tra le singolarità del comportamento, che persino a tavola indossava i guanti liberando soltanto pollici e indici per tenere le posate. A Messina, sergente maggiore nella 98a Batteria Montegallo, incontrò Giacomo Matteotti che, pacifista, nella città dello Stretto era stato internato. Fu proprio la vittima più illustre del Fascismo a regalargli un paio di gambali d’artiglieria e dei polsini d’argento che conservò gelosamente per tutta la vita. Tra gli episodi non del tutto esemplari, che pur bisogna ricordare per conoscerne l’indole e il carattere, ma soprattutto per sottolineare l’amore che per lui la popolazione nutriva, occorre raccontare una singolare avventura eroicomica di cui fu protagonista nel 1919. Un giorno alla stazione di Bolognetta (il punto di ferrovia più vicino a Marineo) prendendo il treno diretto al capoluogo per il disbrigo di affari comunali, il controllore notava che, in possesso di un biglietto di seconda, egli occupava un posto di prima classe. Fu inutile fargli osservare che, non avendo trovato da sedersi in seconda classe, aveva occupato un posto disponibile cui pure avrebbe avuto diritto nella qualità di sindaco. Ma non ci fu verso di convincere l’intransigente ferroviere che, vestitosi dell’autorità che il ruolo e la divisa gli conferivano, gli intimava con malagrazia l’immediato ritorno nel compartimento di seconda. Il diverbio che ne nacque davanti a tanti viaggiatori che lo conoscevano e ne avevano preso le difese, si concluse con l’estromissione del controllore dal treno. Il convoglio fu fermato per l’intervento della polizia ferroviaria che scortò il sindaco fino in città per un più dettagliato accertamento dei fatti. Al commissariato fu trattenuto per cinque giorni. Ma quando in paese si seppe dell'imminente ritorno, i cittadini si fecero trovare tutti a “San Ciro della Balata” col gonfalone e la musica per dargli il benvenuto. Tornava sì "dalla galera", ma dall’incidente chiara era emersa la parsimonia del primo cittadino nell’impiego del denaro pubblico che, data la magrezza dei tempi, non riteneva opportuno sperperare con l’acquisto di costosi biglietti ferroviari di prima classe. Quisquilie preistoriche, fossili che oggi farebbero sorridere il più onesto degli amministratori. Restò in carica fino al 1922, anno in cui i sindaci eletti vennero sostituiti dai podestà, imposti dal governo fascista. Liberale per temperamento, offeso dall’ingiusta deposizione subita, ebbe nei confronti del Regime un’avversione che lo resero, se non un perseguitato, sicuramente mal sopportato dai suoi stessi compaesani, tra i quali il capo della Milizia che portava a spasso per le vie del paese pancia piena e testone adorno di fez con nappa nera. Nonostante gli inviti pressanti e le oscure minacce, rifiutò sempre la tessera del Fascio e fu un punto di riferimento per coloro che cominciavano a capire quale miseria e quante ingiustizie nascondessero la sicumera fascista, l’orgoglio patriottico e l’oceanico consenso delle piazze. Quando il prefetto Mori scese in Sicilia, nel 1925, con l’incarico di sradicare la mafia, Carlo Greco fu arrestato, ma gli venne risparmiato il confino destinato ai mafiosi, restando sorvegliato in paese. Quando molti, anche in un piccolo paese come Marineo, succubo della grossolana propaganda fascista, si resero finalmente conto dei danni che la guerra andava procurando, la sua popolarità aumentò a tal punto che in piazza, davanti a tanti compaesani, si poteva permettere di dire al fascistone – tra il serio e il faceto – che tra non molto tempo avrebbe orinato dentro il suo fez nero, odiato simbolo di sopraffazione. Ciò non accadeva nei riguardi di Onofrio Profita, suo avversario politico nelle elezioni del 1918, quando ancora il fascismo non aveva avvelenato i rapporti interpersonali. Alla sua morte, infatti, incaricatosi dell’elogio funebre, pronunziò commosse parole di addio, sincere e profonde, riconoscendo nel rivale la correttezza e l’onestà dell’agire. Dopo la caduta del fascismo, tardive arrivarono anche le scuse del commissario Urso (“…ma io lo avevo capito che lei era un galantuomo”) che nel 1925 aveva collaborato al suo arresto. Dopo lo sbarco degli americani, grazie alla popolarità e alla fiducia di cui godeva in paese, fu nominato sindaco con decreto prefettizio N. 2402 del 2 aprile 1945. Nel discorso di benvenuto che fece in occasione della visita a Marineo dell'on. Finocchiaro Aprile, fondatore del Movimento Indipendentista Siciliano, di cui resta la traccia autografa tra i documenti di famiglia, non parlò né dell’indipendenza della Sicilia né di separatismo. All’uomo politico di Lercara, il sindaco assicurava il sostegno personale e quello degli elettori, a patto che con la sua autorevolezza riuscisse a richiamare l’attenzione del Governo centrale sui gravi problemi di sottosviluppo del paese ancora privo di rete fognaria, oppresso dalla penuria dell’acqua potabile, dalla condizione disastrosa delle strade e soprattutto impoverito dalle ricorrenti frane che trascinavano a valle interi quartieri. Rimase in carica fino al 1948 quando, indette le elezioni democratiche, venne eletto nuovamente con risultati plebiscitari, tanto che il presidente del seggio elettorale poteva osservare che, se così chiari erano gli orientamenti degli elettori, perfettamente inutile era stato indire le elezioni. Sindaco fino al 1952, fu promotore di una serie di iniziative che portarono alla costruzione della rete fognaria, alla progettazione dell’acquedotto per l’adduzione dell’acqua delle sorgenti di Rossella, al riassetto delle strade urbane. Instancabile lettore, tra i pochi abbonati in paese al “Giornale di Sicilia” e al “Reader’s Digest”, assiduo ascoltatore del giornale radio, “il comunicato” gracchiato dal suo grosso apparecchio Magnadyne, incoraggiò e protesse le iniziative culturali allora possibili elargendo aiuti alle piccole compagnie teatrali (i Carrà, i Di Dio) che sulle scene del “teatrino comunale” portavano i drammi dell’Ottocento, Pirandello e Martoglio. Il dottore Ignazio Fiduccia, allora giovane segretario comunale, raccontava che, discutendosi in Giunta delle opere pubbliche da realizzare con i magri fondi di cui si disponeva, il sindaco mise in silenzio i consiglieri bocciando tutte le proposte di priorità e sostenendo che la prima opera da fare era la strada per il cimitero, allora malagevole viottolo. “I morti – disse – erano gli unici che, privi di voce per lamentarsi, avevano il diritto di precedenza su tutte le altre pur comprensibili esigenze”. Nel 1945 fu il principale artefice del ritrovamento di un ragazzo di Marineo rapito a scopo di estorsione da una banda di malviventi locali e si recò, assieme alla madre della vittima e ai carabinieri, a liberarlo dal nascondiglio in montagna dove il giovane era tenuto sequestrato. Dopo il 1952, estraneo alle manovre di corridoio dei nuovi politici, non volle più candidarsi. Della sua generosità, anche nella vita privata, gli anziani della famiglia se ne ricordano ancora, come quella volta che, andando a riscuotere la pigione degli appartamenti a Palermo, all’inquilino che quel mese non poteva pagare l’affitto diede pure dei soldi per potere sfamare la sua famiglia. Capace di dispensare in chiunque lo incontrasse coraggio e ottimismo, visse amato e stimato a dispetto degli avversari i quali - forti della sua passata adesione al Movimento Indipendentista Siciliano, che nel 1944 contava mezzo milione di iscritti, della nomina a sindaco avuta dopo la “liberazione” e soprattutto dell’innata autorevolezza del carattere – cercarono di adombrarne la figura e inficiarne la memoria. Per quanto riguarda l’operazione compiuta in Sicilia dal “Prefetto di ferro”, che vide coinvolto anche il marinese Carlo Greco, una confessione postuma di Cesare Mori la dice lunga sulla profondità delle indagini che egli fu in grado di condurre: “La qualifica di mafioso viene spesso usata in malafede (…) come mezzo per compiere vendette, sfogar rancori, abbattere avversari” (S. Lupo, Storia della mafia, Roma 1994). Di Carlo Greco, sindaco per antonomasia, resta tra i familiari e chi lo ha conosciuto il ricordo - che questo contributo intende rinnovare - di un’apertura mentale e di una schietta visione dell’agire nella gestione del patrimonio comune durante il tormentato periodo di travaglio sociale ed economico attraversato dal nostro paese tra le due guerre e nell’immediato dopoguerra. Nel quarto di secolo che gli restò da vivere poté dedicarsi, grazie al lavoro dei figli, quasi esclusivamente agli affetti familiari, l’unico privilegio di cui godette fu, con l’orgoglio di una vita intensamente vissuta, la soddisfazione di essere stato sinceramente amato dai concittadini per l’onestà dell’impegno politico. Si spense il 3 febbraio del 1965 accompagnato al cimitero da una folla di cittadini ancor più numerosa di quella che nel 1919 l’aveva accolto alla Balata. Con la morte del sindaco Greco si chiudeva, anche a Marineo, l’era della civiltà contadina e iniziava il capitolo della motorizzazione.
Nelle foto: Carlo Greco in divisa di sottufficiale a Messina; Il sindaco Carlo Greco (al centro), con l’Arciprete Mons. Natale Raineri e il medico condotto Pietro Sannasarda (a destra col bastone) davanti all’edificio scolastico.

giovedì 19 marzo 2015

Feste e tradizioni: "Pasta di Sanciuseppi a la marinisa"


di Franco Vitali
La strata di la cursa, m’particulari lu pezzu chi di chiazza di populu va a la matrici, lu iornu di la festa di Sanciuseppi addivintaia n’atra cosa a parauni di comu era di lavuranti. Già di prima matina si sintia scrusciu di martiddati cafuddati ncapu li tavuli, propia davanzi a unni ora c’è la posta: la dubitazioni di Gesù Maria e Giuseppi staia ntavulannu lu parchettu pi cunzaricci la Tavulata. 
Accuminzaia prestu ddu iornu lu passiggiu: patri, matri, nanni cunnucìanu manu manuzza li picciriddi mutati pi la festa. Iuncìa di luntanu cialoma di cristiani e sonu: arrivàia po’ lu tammurinu, appressu un criatureddu cu un’agnidduzzu arrinatu – Sanciuvannuzzu – un vicchiareddu cu la varba bianca vistutu comu Sanciuseppi, na picciuttedda cu li vesti di la Madinnuzza e un picciriddu chi “facia” Gesù Bamminu: eranu la Sagra Famigghia di la Tavulata. Appressu , na picchidda di parenti di li ” santi” e la banna chi sunàia fistusa. Sanciuseppi avìa iutu a pigghiari l’atri “santi” di la casa e ora tutti nzèmmula facìanu lu giru di la prucissioni. Taliàiamu cu l’occhi sgranati, nuàvutri nicuzzi, e a bucca aperta: chiddi unn’èranu pirsunaggi paisani: pi nuatri èranu la Sagra Famigghia pi daveru! Doppu tanticchia, ròbbica di la strata di Sant’Antuninu, spuntàia nta lu chianu di la matrici n’atru tammurinu e stavota appressu a iddu c’eranu cristiani chi purtàianu a la tavulata cannistra cu pani a furma di vastuni, gigghiu e curuna , beddi a bìdisi anchi picchì avìanu ncapu giumma di barcu e rosamarina ca facìanu daveru na bedda fiura e spapuràianu un gran ciavuru. E tanti atri genti purtàianu ghistri cu panuzza di casa: li panuzza vutivi di Sanciuseppi. Vòtica già era parenti di menziornu, accuminciàia na prucissioni di cristiani chi purtàianu a la tavulata ammogghi - all’infora chi carni - cu ogni beni di Diu : pasta cu sardi e finocchi, froci di ova e finocchi, froci di cacocciuli, rafanelli e lattuchi, sfinci e tartanelli, biancumanciari cu li diavulicchi, sfinci di Sanciuseppi cu la ricotta e la scorcia d’aranci ncapu, e pò frutta di tutti li sciorti. C’era la frutta di lu tempu e chidda fora tempu; nta la sciorta fora tempu c’eranu pennuli di racina e ficudinia scuzzulati fatti arrivari di la staciuni a marzu cu mastrìa pi daveru. Si cunta di un cristianu – don Vitu - nca travirsàia tuttu lu cursu purtannu nta na manu un piatticeddu cu tri ficudinia munnati: una muscaredda, n’atra sanguinedda e l’urtima gialla: tuttu sudisfattu li dipusitaia nta la tavulata, sutta l’occhi cumpiaciuti di li genti. E avia ragiuni di èssiri sudisfattu: ddi tri ficudinia l’avia pasciutu tutta la mmirnata apposta pi li tri “santi” di la tavulata; era na divuzioni, prima di iddu l’avìanu fattu sò pà e sò nannu e nfina a cchi campaia, iddu l’avìa a fari! Ma la pitanza chi arrivaia a la tavulata cu cchiù abbunnanzia era la pasta cu sardi, finuccheddu e muddica atturrata. Éduca tuttu lu paisi - certu, cu putia – pi divuzioni ddu iornu cucia e manciaia di dda pasta; e tanti e tanti nni purtàianu un piatticeddu a li “santi”: era pi iddi comu assittarisicci nzèmmula a la tavulata, o qualmenti ca l’avìssiru mmitatu a la sò casa : signu nca dda tavulata era sintuta la sò di tuttu lu paisi: nun sulu: ma tanta di dda pasta ia a finiri a tanti puvureddi nca “un putìanu “ e di ddi tempi ci n’èranu na picchidda. A la finuta di la Missa lu parrinu niscia fora di la chesa e binidicia la tavulata: a ddu puntu li “santi” principiàianu a manciari sutta l’occhi sudisfatti di li genti; cu taliàia ròbbica mancu lu sapìa ma ddu sintimentu di sudisfazioni nascia di lu fattu nca dda manciata a la tavulata, accussi comu l’avìanu tramannatu l’antichi, vulia èssiri na priera pi prupiziari l’abbunnanzia nta la staciuni quannu si spiraìa ca s’avia a cògghiri lu fruttu di un annu di travagghiu n’campagna; un disiu di pruvidenzia pi li famigghi; un ringraziamentu puru pi ddu picca nca ognunu avia. E si putìa capìri, certu : ”cu picca avi, caru teni “ dicìanu a ddi tempi. Ntunnu a la tavulata s’affuddàianu tanti cristiani bisugnusi e pruìanu a li dubbitati piatta, tianedda, lemma, pignateddi vacanti: pi farisilli ìnchiri di pasta biniditta, veru grazia di Diu ddu iornu. C’èranu nfina a puvureddi chi acchianaianu di m’Palermu: sapennu di la tavulata a Marinè avìanu vinutu pi vènisi a manciari la pasta di Sanciuseppi e – datu ca a ddi tempi li panzi eranu daveru vacanti e lu pitittu facia àcitu – si manciàianu dda stessu tutta chidda chi putìanu e tanta si nni purtàianu puru a la casa. Tanticchia po’ si la purtàianu “li santi” e atra vinia data pi binificenza a lu Cummentu e a lu Culleggiu, pi l’urfanelli. Dda iurnata era pi daveru la festa di la pruvidènzia e di l’abbunnànzia! All’urtimu vinìanu spartuti li panuzza di Sanciuseppi: guai arricògghisi a la casa senza un panuzzu binidittu! Ddu panuzzu avia na ducizza ca ancora oi nenti ha pututu aguagghiari; e po’, vinia manciatu di la famigghia riunita cu divuzioni: facennusi la Santa Cruci e ricitannu lu Patrinostru. Iorna prima, nta tanti casi marinisi s’avìanu tinutu tavulati privati: lu patruni di casa avia mmitatu tri puvureddi di lu paisi – comu fussiru pi daveru Sanciuseppi, la Madonna e lu Bamminu – e nzèmmula a iddi, tutta la famiglia a completu e corchi vicinedda “di rispettu”. Assittati a lu postu d’onuri, li tri mmitati eranu sirbuti e fistiggiati, rispettati e anurati. Nuatri carmuci manciàiamu e taliàiamu li “santi” cu la cuda di l’occhiu: avìamu anticchia di suggizioni ma puru rispettu e ammirazoni: pi nuatri ddi tri cristiani èranu veru li“santi” e po’, era na bedda cosa addunàrisi ca nta la casa di li nanni c’era dda divuzioni di aiutari a cu avìa bisognu, staia peu di nuatri. Nta la tavula c’era abbunnanzia: sulu carni un ci avia ad èssiri, e mai ci nn’era; ma la pitanza cchiù duci e sapurusa era sempri la pasta cu sardi e finocchi, chidda di Sanciusippuzzu.
Ancora oggi a Marineo quella pasta particolare viene priparata e manciata cu piaciri: fa parte del patrimonio culturale popolare marinese, ed essendo anche legata ad una delle tradizioni popolari locali più sentita e radicata, ha un posto di riguardo nta na gniunidda di lu cori di tutti noi paesani. Lu fattu è nca lu manciari di li tempi passati – in particolare quello della domenica e delle feste – era un cibo prima “pensato” e poi amorevolmente preparato e consumato; era un cibo piacevolissimo da pensare e gratificante da gustare perche era denso di segni e significati nascosti. Nel caso poi del cibo rituale – la pasta con le sarde, allo stesso modo dei panuzzi benedetti e di tanti cosi duci tradizionali comu lu pupu cu l’ovu a Pasqua o la chiavi di San Petru a giugnu – c’è da dire che in essi si “sentiva”il linguaggio della fede popolare ed il senso di una comunità intera che “si ritrovava”. Le pietanze ed i dolci sopracitati esprimevano compiutamente la marinisitùtini e la marinìsità: se è vero che la fame è un bisogno fisiologico primordiale ed innato, uguale in tutto il mondo, è anche vero che la risposta che a questo bisogno ciascun popolo, ciascuna comunità ha dato è differente. Ciascuna comunità ha dato la “sua” risposta culturale: ha utilizzato con saggezza e maestria i saperi tramandati e sedimentati nella cultura popolare, ha riproposto, - partendo dalle peculiarità dell’ambiente circostante - soluzioni arcaiche, scelte, conoscenze, sensibilità, motivazioni ed inclinazioni personali. E’ accaduto così che ciascuna comunità si è specializzata in un “certo”modo di intendere e preparare i cibi: il risultato finale è stato sempre differente – a parità di ingredienti e di pietanza – dal risultato di tante altre comunità spesso addirittura limitrofe. Così dunque la pasta cu li sardi, finocchi e muddica, lu pupu cu l’ovu e tanti atri pitanzi e cosi duci antichi sono diventati “a la marinisi”, veri e propri simboli che ancora oggi “raccontano” la storia paesana ed il modo di interpretare la vita da parte delle genti marinesi: per questo parlano al cuore e marcano l’identità personale e quella comunitaria. La pasta di Sanciuseppi “a la marinisi” è dunque un elemento distintivo del bagaglio culturale della comunità marinese: è la sintesi di saperi arcaici tramandati, di sapienti accostamenti di ingredienti, di mastria nelle fasi di preparazione, e – quel che più conta – di una grande attenzione, pazienza, amore, cura dei particolari: si, perché quel cibo “pensato”e poi preparato, diveniva “buono da pensare e buono da consumare”. Nel atto culturale del ”pensare” una pietanza poi, era inclusa, oltre all’abilità manuale, la voglia di gratificare fisicamente, ma ancor di più intellettivamente e sentimentalmente, i fruitori del cibo stesso. “Quel” cibo dunque, ponendosi come un vero e proprio linguaggio, “comunicava” in modo potente: rievocava calde sensazioni, atmosfere indimenticate, emozioni impresse in modo indelebile nella sfera affettiva di ciascuno di noi. Non è forse vero che davanti a certe pietanze - alla vista, al profumo, al gusto, al contesto in cui avviene la fruizione della pasta di Sanciuseppi a la marinisi, per esempio, – si ritorna indietro nel tempo e riaffiorano dalla memoria le immagini ed il mondo degli affetti dell’infanzia? Volti, voci, rumori, odori del tempo passato si sublimano in quello che potremmo definire un “senso compiuto” del calore umano. Le pietanze “buone” da pensare e “buone“ da consumare dunque si spingono ben al di la della loro natura di alimenti: coinvolgono il nostro “sentire” profondo, e con esso, il tentativo di dare un senso alla nostra esistenza. Gli usi alimentari – assieme alla lingua madre ed al legame con gli elementi identificanti del luogo natio –sono gli elementi a più alta persistenza nel bagaglio culturale di ciascuna comunità. Nelle comunità che gli indigeni - emigrando - vanno a costituire lontano dal loro luogo di nascita, le persistenze si fanno ancora più significative, perché meno contaminate;ma ancora di più perché difese con più decisione ed amore. Presso le comunità di marinesi diffuse nel mondo – penso a quella più numerosa, nel New Jersey, per esempio - ancora oggi e forse molto più che nel nostro paese, si preparano i piatti ed i dolci tipici della storia e della tradizione arcaica màrinese : lì, il valore simbolico e segnico di “quel mangiare” si fa davvero palpabile quasi fisicamante: il sapore profondo di tutti quegli affetti lasciati un giorno lontano che riemerge dolcemente; un legame indissolubile con “il mondo” d’origine, capace di dare un supporto ed un senso alla propria vita.

domenica 15 marzo 2015

Peccato di mafia, presentazione libro nella Chiesa di San Francesco Saverio


di Piazza Marineo
Sarà presentato martedì 17 marzo, alle ore 21, nella Chiesa di San Francesco Saverio (zona Corso Tukory, Palermo) il volume Peccato di mafia di Rosario Giuè (Ed. Dehoniane). Intervengono: Roberto Scarpinato, Procuratore Generale della Repubblica di Palermo; Cosimo Scordato, Rettore Chiesa San Francesco Saverio di Palermo; Francesco Michele, Stabile Parroco San Giovanni Bosco di Bagheria. Modera: Fernanda Di Monte, Giornalista Suore Paoline di Palermo.
Come analizzare e giudicare la mafia dal punto di vista teologico-pastorale? Quale Gesù annunciare e testimoniare in contesti dominati dalla criminalità organizzata? Se l'evangelizzazione non è soltanto ciò che si dice, ma anche ciò che si fa, quale ministero è necessario praticare per liberare i territori e le comunità da un potere soffocante e crudele? Dopo il gesto profetico di papa Francesco, che con la scomunica ai mafiosi ha indicato una direzione per il cammino della Chiesa, un prete palermitano che ha guidato la parrocchia di Brancaccio prima di don Giuseppe Puglisi ucciso da Cosa Nostra nel 1993 riflette su una ferita aperta e si interroga su alcune questioni pastorali non sempre chiare nel rapporto tra comunità ecclesiale e mentalità mafiosa. Novità Editoriale. Sommario: Premessa; Il Vangelo dal punto di vista delle vittime; La Chiesa e il «peccato strutturale della mafia»; Imparare dalla vicenda storica di Gesù di Nazaret; Conversione e perdono dei mafiosi; I nostri linguaggi di fronte alle mafie; La conversione del ministero pastorale. Rosario Giuè, Peccato di mafia. Potere criminale e questioni pastorali, Edizioni Dehoniane (Bologna). Collana: Cammini di Chiesa. Gennaio 2015.

giovedì 12 marzo 2015

Il Gala della Federazione Siciliana del New Jersey si tinge di rosa


di Federazione Siciliana del New Jersey
Si è tenuta il 7 di marzo la cena di Gala che la Federazione Siciliana del New Jersey organizza annualmente per dare lustro a chi si prodiga nei confronti della Comunità Italiana.
Quest’anno si è voluto onorare come uomo dell’anno Tony Luna, city manager della città di Lodi, per la disponibilità che ha dimostrato da sempre, e, in concomitanza con la festa delle donne, un premio speciale, il Globe Award 2015, è stato riconosciuto alla Console Generale di New York, Min. Plen. Natalia Quintavalle, per l’ottimo lavoro svolto durante tutto l’arco del suo mandato. A dare una connotazione ancora più femminile, è stata il “Maestro di Cerimonia” Sarah Cangialosi che, oltre ad essere stata parte attiva dell’organizzazione, si è egregiamente destreggiata nella conduzione della serata, assistita da Frank D’Amico. Oltre 450 persone sono intervenute alla manifestazione, e alle numerose donne presenti è stato offerto un omaggio floreale. Numerose anche le personalità civili e militari intervenute, tra le quali il senatore italiano circoscrizione estero Renato Turano, l’ex governatore del New Jersey Jim Florio, il congressman USA Bill Pascrell, il Senatore USA Nellie Pou, il Presidente della Contea di Bergen Jim Tedesco, lo sceriffo della contea di Bergen Michael Saudino, gli assemblyman Eustace e Langano, nonché i sindaci delle città di Garfield, Lodi, Paramus, Saddle Brook e Elmwood Park. Quanti non sono potuti intervenire personalmente hanno mandato i loro saluti, come il presidente del Senato italiano Piero Grasso, o una lettera di congratulazioni, come il senatore USA Bob Gordon e gli onorevoli dell’Assemblea Regionale Siciliana Giovanni Greco e Santi Formica, lettere pubblicate nel libro che si realizza ogni anno in questa occasione. Una menzione particolare va data alla lettera ricevuta dalla Presidenza della Repubblica italiana a firma di Sergio Mattarella, con la quale il Presidente ringrazia dell’invito ricevuto e si rammarica di non poter partecipare, altresì saluta tutta la Federazione e la Comunità ed esorta a proseguire l’opera di valorizzazione della cultura italiana. Grande soddisfazione quindi da parte del comitato e dei membri della federazione, per l’ennesima conferma del successo che ogni anno riscuote questo evento giunto alla sua diciannovesima edizione. Un ringraziamento particolare al Comitato Festa e a tutti i membri del Federazione Siciliana del New Jersey per l’ottimo lavoro svolto, magistralmente coordinati dal Presidente Pietro Agliata e dal General Chairman Marco Cangialosi, ideatore, fondatore e anima di questo sodalizio.

mercoledì 11 marzo 2015

Fondazioni Arnone, esami per il conseguimento di certificazioni Trinity


di Piazza Marineo
La Fondazione Arnone comunica che sono aperte le iscrizioni per sostenere gli esami per il conseguimento di certificazioni Trinity (GESE/ISE).
Per informazioni contattare la segreteria delle Fondazioni Culturali "Gioacchino Arnone", al numero telefonico 091/8726931, oppure inviare un'email all'indirizzo info@fondazionearnone.it, entro e non oltre il 25 marzo.

martedì 10 marzo 2015

Marineo, "XXII Luminaria del Calvario" realizzata dal Gruppo Emmanuel


di Piazza Marineo
Da domenica 15 Marzo, dopo le celebrazioni eucaristiche, in Chiesa Madre, Convento e Collegio, il Gruppo Emmanuel raccoglie le adesioni per allestire la XXII  Luminaria del Calvario.
«Accendere una “Lampada” - scrive Ciro Realmonte -, significa innanzitutto fare nostra la Luce che proviene dalla Croce, dal Calvario, illuminarci perché possiamo rischiarare la nostra vita , il nostro tempo, la nostra storia. Accederci della Luce di Cristo, rimanere abbagliati dalla sua Luce, per essere a sua volta anche noi portatori di Luce. Dobbiamo educarci anche alla meraviglia della Luce Pasquale, dobbiamo riscoprire lo stupore della Pasqua che ci dona la bellezza della gioia autentica, che spazza via la polvere della noia e della quotidianità vuota. È la luce della verità, è la Luce della pace, è la luce della misericordia, è la luce dell’impegno, è la luce della gioia, è la luce della speranza quella che irrompe dal sepolcro vuoto di Cristo nella notte di Pasqua». Vi aspettiamo numerosi.

lunedì 9 marzo 2015

Frana sulla Marineo-Santa Cristina dopo le grandi piogge delle ultime settimane


di Piazza Marineo
A Marineo ancora danni e disagi a causa delle intense precipitazioni delle ultime settimane: frana sulla strada per Parco Vecchio e Santa Cristina Gela.
Questa volta la pioggia ha messo in moto un consistente movimento franoso che ha causato il parziale collasso della strada SR 13 al km 5, nelle vicinanze di Marineo. Il tratto viario interessato, che è stato chiuso al transito dei veicoli, ricade nel territorio di Santa Cristina Gela, che rimane raggiungibile da Palermo, da Piana degli Albanesi e da Corleone. Mentre ci sono difficoltà per raggiungere Parco Vecchio da Marineo. Solo una settimana fa, all’ingresso del paese si era aperta una voragine sull'asfalto che ha inghiottito due auto abbandonate nel parcheggio comunale, a pochi metri dal torrente Sant'Antonio.