venerdì 17 settembre 2010

Pasolini e Sciascia su Ignazio Buttitta: dibattito sulla poesia popolare


di Francesco Virga
MARINEO. La magistrale prefazione di Leonardo Sciascia al libro di Ignazio Buttitta “Io faccio il poeta”, pubblicato da Feltrinelli nel 1972, opportunamente ricordata da Nuccio, si conclude con un rimando alla poesia “U rancuri” del poeta bagherese e con un polemico riferimento a Neruda.

Ma il nocciolo dell’analisi sciasciana va ricercato nel passo in cui, da un lato si riconosce la radice popolare e contadina dell’ autore di “U rancuri”, dall’altro, con una apparente contraddizione, si afferma che quelle indiscutibili radici non fanno di Buttitta un poeta popolare. Per comprendere meglio il punto di vista di Sciascia, credo che sia utile tenere presente il problematico giudizio di P.P. Pasolini sulle stesso poeta siciliano. Lo scrittore friulano nel ricordare “la tragedia della perdita del dialetto, come uno dei momenti più dolorosi della perdita della realtà” fa riferimento ad un famoso testo di Buttitta: (continua)

2 commenti:

Nuccio Benanti ha detto...

Per chi non avesse seguito le altre discussioni, volevo aggiungere che secondo me la “poesia popolare” non ha autori. O meglio, che è il popolo tutto che diventa autore dei testi. Esempi di poesia popolare sono i canti dei carrettieri, i canti del giovedì Santo, anche la Dimostranza è un testo di letteratura popolare, così come certe altre canzoni (appunto popolari) che giravano per la Sicilia senza che nessuno si preoccupasse di sapere da chi erano state scritte. Qualcuno forse conosce chi è l’autore di Ciuri ciuri?

Nella poesia popolare un autore iniziale ovviamente c’è, ma se ne perde memoria nel momento in cui il popolo comincia a cantare quelle canzoni, a modificarle per adattarle al proprio dialetto o alle proprie esigenze vocali. Secondo questa mia interpretazione Buttitta non è quindi un poeta popolare. E' stato un intellettuale che scriveva poesie che parlano del popolo siciliano. Il massimo che gli posso concedere è definirlo poeta popolareggiante (cioè che si ispira), ma non popolare.

L’altra questione da me segnalata su Facebook è quella riportata nel libro "La musa impara a scrivere. Riflessioni sull'oralità e l'alfabetismo dall'antichità al giorno d'oggi" Autore Havelock Eric A. Prezzo (Sconto 10%) € 6,30. Nel libro, il professore Havelock spiega la funzione della poesia nell'antichità, cioè alle origini, quando ancora in Grecia non era stata scoperta (o importata) la scrittura.

Nella Grecia senza scrittura esisteva solo la poesia. Con la scrittura, invece, nacque anche la filosofia. La rima era stata inventata per aiutare i poeti a memorizzare i testi. Quella che noi oggi chiamiamo Musa ispiratrice, in realtà (secondo la descrizione di Esiodo) erano ben 9 sorelle (o muse) che comprendevano tutto ciò che la poesia arcaica doveva contenere: epica, storia, canto, musica, tragedia, religione, commedia, danza e geometria.

In sostanza, la poesia serviva a tramandare oralmente la cultura di un popolo. In molti popoli le tradizioni vengono, infatti, trasmesse attraverso i racconti degli anziani. E Omero non scrisse l'Iliade e l'Odissea semplicemente perchè si trattava di testi tramandati dalla tradizione orale (=poesia popolare!). Omero, se è esistito, forse li ha solo raccolti, recitati o tramandati.

Quindi possiamo dire che la poesia dell’Omero greco è popolare, mentre quella dell’Omero di Bagheria popolareggiante!

Ezio ha detto...

Leggendo il post di Franco e il commento di Nuccio, sono 'accordo, anzi prendo atto di realtà che sono evidenti. Nel contempo volevo però spendere solo qualche parola sullo stato della poesia dialettale ai giorni d'oggi.

Non c'è dubbio che dai tempi di Ciccio Busacca e dei cantastorie
che giravano le piazze siciliane molte cose sono cambiate. La gente a quei tempi dimostrava una partecipazione emotiva per i cantastorie e per i loro versi, questa partecipazione adesso è quasi del tutto scomparsa, cioè la poesia adesso non interessa più il
popolo, si è allontanata dal popolo.
Il dialetto ha subito un processo di intellettualizzazione, pertanto se una volta era l'unica lingua parlata dai tanti analfabeti, adesso è diventata la lingua scritta di una ristretta elite colta di poeti.
Direi che c'è stato un cambiamento non di poco.
Quindi se prima esisteva un solo dialetto adesso esistono due lingue:

- la lingua siciliana parlata dai comuni mortali
- la lingua siciliana scritta da una ristretta elite di poeti colti

La dimostrazione di ciò sta nel fatto per esempio che nei vari
premi di poesia disseminati nella nostra isola, non c'è assolutamente
partecipazione popolare, le poesie non parlano al popolo, scivolano via, non soffermandosi nella memoria di chi ascolta.
A volte si arriva quasi a situazioni di incomprensione totale e quindi di noia. La poesia pertanto ha perso quella immediatezza e istintualità
che caratterizzava invece la poesia popolare del "parra comu manci".
Oggi le poesie non sono più del "parra comu manci", ma si afferma sempre di più il "scrivu comu pensu e si nun lu capisci su sulu fatti to".