Nella crisi che caratterizza questo primo scorcio di secolo una parte importante hanno le parole, la loro perdita di significato, il loro uso improprio e distorto.
Termini come riforme, libertà, democrazia, legalità sono quotidianamente utilizzati per designare concetti diversi da quelli che li hanno connotati nei secoli, così contribuendo a cambiare la cultura e, indirettamente, le regole della convivenza. Ciò è particolarmente evidente con riferimento a fenomeni come le mafie. Si ripropongono così – appena un po’ aggiornati – orientamenti interpretativi classici sulla associazione mafiosa come aggregazione di persone finalizzata alla reciproca assistenza e fondata su pratiche arcaiche e curiose: riunirsi in cantine, praticare un giuramento di fedeltà (non si sa bene a cosa) e bruciare santini o pungersi con un ago, o con uno spillo, o con una spina di arancia. E, parallelamente, il controllo mafioso sull’economia viene di fatto valorizzato come fattore di ordine e di stabilità, inidoneo a provocare allarmi. Contro questa deriva nasce un dizionario per offrire anche ai più giovani (a partire dalla scuola) strumenti di analisi adeguati alla realtà di un fenomeno criminale che ha inquinato e inquina la democrazia e la libertà di tutti. Da qualche giorno, è in vendita nelle librerie il Nuovo Dizionario di Mafia e Antimafia, edito dal Gruppo Abele (EGA), pp. 606, €. 28,00. Le 90 voci che lo compongono sono state scritte da 36 autori, tra cui Gian Carlo Caselli, Enzo Ciconte, Vincenzo Consolo, Alessandra Dino, Tano Grasso, Antonio Ingroia, Livio Pepino, Roberto Scarpinato, Dino Paternostro.
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