giovedì 3 settembre 2009

Il parere dello storico: "Un libro di storia locale, senza cadere nel municipalismo e nell'agiografia


di Santo Lombino
MARINEO. Gli autori di questo interessante volumetto, che si legge tutto d'un fiato data la scorrevolezza e la gradevolezza dell'esposizione, hanno pubblicato una ricerca di storia locale senza cadere nel municipalismo e nell'agiografia.
Hanno inoltre saputo utilizzare all'interno della ricerca anche osservazioni che derivano da uno sguardo antropologico, capace di andare alla radice dei fenomeni esaminati, per esempio facendoci quasi toccare con mano lo stretto nesso tra le ricorrenze religiose legate al culto di San Ciro, medico eremita martire di Alessandria d' Egitto vissuto nel III secolo d.C., diventato nel 1665 patrono di Marineo (Palermo), e il ciclo stagionale che governa i lavori agricoli. “Ciascuna festa doveva essere celebrata - ha scritto l'antropologo Nino Buttitta - in un tempo preciso, nei momenti in cui in dipendenza dai mutamenti stagionali si passava da un'attività all'altra. L'aratura, la semina, la potatura, la raccolta dei diversi prodotti della terra venivano così a iscriversi in una dimensione religiosa, e i riti a questa connessi assolvevano precipuamente alla funzione di sacralizzare il tempo e lo spazio”.
Il cammino di San Ciro corrisponde anche al cammino di tantissimi che sono andati a vivere negli Stati Uniti, durante la grande migrazione transoceanica dalla fine dell'Ottocento agli anni '60 del Novecento. La comunità di Marineo ha battuto in breccia altri comuni e territori della Sicilia: già nel 1880 c'erano consistenti gruppi di marinesi nella Little Italy di New York e già nel 1891 una colletta tra emigrati aveva condotto alla realizzazione di una statua in bronzo di S. Ciro nella piazza antistante la Chiesa madre. Il “salasso” di popolazione avvenne però tra il 1901 ed il 1013: in quel periodo la cittadina passò da diecimila abitanti a quasi settemila. Sul fenomeno della “grande migrazione” italiana si sono diffusi molti stereotipi, alcuni assai duri a morire. Intanto, i territori italiani da cui cominciarono gli spostamenti significativi di popolazione non sono le regioni meridionali, come molti pensano, ma regioni come il Piemonte, la Liguria, il Veneto, che già dal 1861 diedero vita ad un esodo notevole verso altre parti d'Europa e fornirono masse di passeggeri alle navi in partenza per l'America del Nord e del Sud. Il meridione arrivò tardi, negli ultimi decenni del secolo XIX, mentre all'interno di esso la Sicilia resistette per decenni e partecipò massicciamente alla diaspora con cifre significative solo dal 1901 in poi. Per affrontare i disagi derivanti dalla differenza di lingua, dal carattere più industriale che agricolo della produzione, dalla diversità di costumi e comportamenti, gli emigrati costituirono delle associazioni di mutuo soccorso che ebbero un'interessante evoluzione nel corso dell'Ottocento e all'inizio del Novecento. All'inizio infatti si trattò, a New York come in altre città statunitensi, di organismi promossi dagli esuli risorgimentali con scopi di propaganda politica e di assistenza ai bisognosi. Poi si ebbe il tentativo di dar vita ad associazioni di mutuo soccorso a carattere “chiuso”, su basi regionali o interregionali, promossi in genere da notabili settentrionali. Dopo l'unità d'Italia si cerca di unificare, in genere sotto l'egida del consolato italiano, le precedenti associazioni, che resistono ad ogni tentativo di fusione. Nel ventennio finale del secolo XIX arrivano i meridionali: definiti “urban villagers” o “village-minded” in quanto continuano a vivere nella metropoli americana come se vivessero nel loro paese di partenza, essi conoscono all'inizio due tipi di interazione sociale: la famiglia e il campanile. Si arriva alla formazione di migliaia di sodalizi su base comunale “chiusa”, quindi fortemente campanilistica, che in linea di principio forniscono aiuti ai soci in stato di necessità e danno un sussidio per
il biglietto di ritorno ai malati costretti a tornare in Italia. In pratica i club sostituiscono il paese di origine in quanto danno la possibilità di incontrare amici e conoscenti, discutere problemi comuni (lavoro, casa, viaggio), servono a “indirizzare la nostalgia”, consentono ai maggiorenti di essere insigniti di onorificenze altisonanti. Spesso gli organismi di emigrati serviranno a questi ultimi per tentare scalate sul piano sociale, economico e a volte politico, spesso avranno un ruolo nel “padrone system”, cioè nel lucrativo sistema di collocamento della manodopera proveniente dall'Italia sul mercato del lavoro nordamericano. Il culto dei santi e l'organizzazione di feste e processioni da parte dei Club servono a esprimere e conservare, sostiene lo storico Sergio Bugiardini, la lealtà campanilistica. Gli oriundi di Marineo presenti nello stato di New York danno vita, come gli oriundi di Mezzojuso o di Bolognetta, a una associazione di mutuo soccorso intitolata al loro santo protettore, ufficialmente “incorporata” nel 1905 per iniziativa di un notaio-banchiere, Giovanni Maccarrone. Il libro traccia con ricchezza di particolari le origini e le attività della Società San Ciro, presente a New York e a Garfield nel New Jersey. In quest'ultima città stendardi e statue del Santo sono stati trasferiti circa vent'anni or sono, dopo la chiusura per mancanza di soci del Club nuovaiorchese.
Nuccio Benanti-Ciro Guastella, “Il cammino di San Ciro. Dalle piramidi dell' Egitto ai grattacieli di New York”, PMbook - Marineo (distribuzione gratuita)

mercoledì 2 settembre 2009

Tornei di scacchi organizzati da TargetOut, questi i nomi dei vincitori


di Piazza Marineo
Marineo. Consegnate le coppe e le medaglie ai concorrenti dei tre tornei di scacchi organizzati dalla Cooperativa TargetOut.
Questi i nomi dei vincitori. Torneo under 18: 1° Ribisi Salvatore, 2° Rocco Angelo, 3° Sclafani Riccardo. Torneo Over 18: 1° Fiduccia Francesco, 2° Vivona Rosario, 3° Madonia Antonino. Torneo Semilampo (Assoluti) 1° Vivona Rosario, 2° Lo Jacono Francesco, 3° Madonia Antonino.
«Il progetto Scacco Matto – spiega Salvino Sclafani – ha coinvolto circa 50 utenti e li ha impegnati per circa due mesi. La centralità della location che ha visto il confronto dei giocatori è stata fondamentale per la partecipazione del pubblico. Il torneo semilampo si è invece tenuto il 24 agosto presso la sede del pub Barbagianni dove, in convenzione con la Cooperativa organizzatrice, i giocatori impegnati nella maratona scacchistica hanno ricevuto ospitalità e supporto vivandistico».

martedì 1 settembre 2009

Vini Buceci, una medaglia e mille segreti per il mio pinot nero


di Franco Calderone
Marineo. Ho appreso stamattina di avere vinto la medaglia d'argento al concorso mondiale dei pinot nero. Le aziende italiane premiate sono soltanto 5, ed io sono il secondo, ma dietro un'azienda che ha presentato un vino del 1999. Inoltre, l'Azienda agricola Buceci è l'unico produttore ad essere in biologico.
Questo è il concorso più difficile al mondo, poiché produrre pinot nero in purezza è davvero ostico, in quanto si tratta di uve delicatissime, che hanno cambiamenti da un'ora all'altra, pertanto deve essere bravura del conduttore del vigneto "cogliere l'attimo" cruciale per la raccolta.
Poi in cantina diventa una corsa disperata contro i cambiamenti continui che ha il mosto durante la fermentazione, e perciò il cantiniere deve seguirlo come si segue un bambino nato da pochi giorni. Dopo la fermentazione viene posto a riposo dentro barriques di rovere allier, che è il migliore rovere al mondo, per concentrare colori e dare struttura. Anche qui è una guerra continua contro le sue bizze, ricolmaggi continui e protezione dai cambi di temperatura.
Quando lo si degusta la prima volta dopo alcuni mesi, si potrebbe tranquillamente paragonare al fiele, aspro e rasposo in bocca, scostante al naso, duro al palato nonché astringente. Ecco, è la guerra personale di ogni produttore di pinot nero con la sua creatura. Ma quando, dopo circa 24 mesi di riposo in barriqes comincia a mostrarsi, allora sono davvero emozioni intensissime, dal brutto anatroccolo viene fuori un cigno bellissimo che elegantemente si accosta alla riva del lago per mostrarsi in tutto il suo splendore. E quel candore impressiona gli osservatori, così come il pinot nero stupisce i suoi estimatori, raffinati ed esigenti, consapevoli di essere davanti ad un prodotto di eccellenza, da cui pretendono eleganza, morbidezza, armonia e rotondità al palato.
Se si trovano queste caratteristiche, allora la guerra contro quell'uva scorbutica e difficile da lavorare è vinta, ed è un tripudio di sensazioni visive, olfattive e degustative che non ha eguali.
Io ci ho creduto, sono stato incosciente a impiantarlo a 1000 metri di altitudine, tanto che sono forse l'unico produttore al mondo che coltiva le uve a questa altitudine, ma il risultato è eccezionale, lusinghiero e gratificante.
Voglio ringraziare in questa occasione tutti i miei collaboratori, poichè, quando si ottengono risultati di questo genere, il merito non è mai di uno solo, ma dell'equipe che lavora in sintonia e collaborazione; le persone che lavorano nell' azienda agricola che producono uve eccezionali, coloro che stanno in cantina perché riescono a lavorare in maniera ottimale quelle uve, chi mi ha realizzato quella splendida etichetta ed infine l'enologo, che con il suo fare nordico, rigido nei protocolli, ci ha fatti pervenire a questi risultati.

lunedì 31 agosto 2009

In poche righe il fiume di insegnamenti che ci hai donato in 8 anni


di Salvatore Lo Faso*
Marineo. È sempre difficile esprimere in parole, i propri sentimenti. E lo è tanto difficile in questo caso, carissimo Padre Salvino, in cui dovremmo raccogliere in poche righe il fiume di insegnamenti che ci hai donato in questi 8 anni.
E così che il cuore inizia a cercare nei suoi corridoi i grandi momenti vissuti insieme, le preghiere, le adorazioni, i capodanni alternativi, i presepi ideati insieme, le esperienze di evangelizzazione, gli incontri zonali di preghiera, gli incontri parrocchiali, le processioni. Tanti, tantissimi ricordi invadono la nostra mente e inondano il nostro cuore, ma prima che un velo di tristezza prenda il sopravvento vogliamo dirti quanto è stato bello stare insieme, remare insieme la stessa barca, respirare lo stesso profumo del mare; è stato bello lottare insieme nelle difficoltà, gioire nei momenti di festa; è stato bello fare un pezzo del nostro tragitto con te, sempre pronto a spenderti per gli altri, soprattutto per noi giovani a cui hai dato tutto e veramente di più, oltre a quello che era il tuo compito pastorale. Hai cercato di capire in fondo quali problematiche affliggono i giovani di oggi che sono diverse dai giovani di ieri, dal giovane che sei stato ed apprezziamo lo sforzo che hai compiuto per intercalarti nelle nostre intime situazioni; ci hai insegnato che nella vita per capire meglio l’altro bisogna capire la realtà in cui si vive e così hai cercato di inventarti giovane tra i giovani come uno di noi e questo sforzo nel capirci in tutto e per tutto lo porteremo sempre con noi come un modello per affrontare e risolvere i problemi, come un vero stile di vita. Porteremo con noi quel senso di comprensione che bisogna avere per lasciare il segno nella vita di chi ci sta accanto, il tutto a piccoli passi, condito di santa pazienza e pietra dopo pietra a costruire la nostra coscienza di cristiani proprio come S. Francesco ricostruì quella chiesa che gli venne affidata da Dio. Sei stato un fratello maggiore, ma soprattutto sei stato un padre generoso e comprensivo e a volte anche duro all’occorrenza. Non nascondiamo il fatto che ci mancherai tanto e quando avremo nostalgia di te verremo a cercarti nell’intimo del nostro cuore dove custodiamo gelosamente la tua persona e gli insegnamenti che ci hai impartito. Avremmo voluto usare le parole più belle e più profonde ma tutto ciò che per umana limitazione non potrà uscire dalla nostra bocca è noto a Colui che tutto sa e tutto vede e a Lui ti affidiamo nelle preghiere, nei tuoi momenti di ogni giorno; che possa il Padre Celeste proteggerti sempre, possa custodirti come il suo tesoro più prezioso e nella nuova missione che ti viene affidata a Carini, lo Spirito Santo possa essere il tuo ispiratore e la Vergine Santissima, a te tanto cara, possa intercedere presso l’Altissimo per le tue intime richieste. E come i discepoli di Emmaus quando lungo il cammino non sapendo chi fosse il “forestiero” insieme a loro, si infiammavano alle sue parole, anche noi in questo tragitto lungo 8 anni abbiamo sentito il cuore andare a fuoco, battere per Gesù che in tutti i modi hai tentato di donarci. I discepoli innamorati delle parole del forestiero arrivati al bivio invitarono Gesù a prendere posto a tavola e lo riconobbero nello spezzare il pane, così anche noi abbiamo riconosciuto Gesù, grazie a te, ogni qualvolta che hai spezzato il pane nel banchetto eucaristico. Spero porterai questa immagine dei discepoli di Emmaus nel tuo cuore per tutta la vita, come la tela che la Gifra di Marineo ha dipinto di te nel suo cuore. Vorremmo trattenerti ancora qui ma come Gèsù allora, la tua missione è altrove, altri assaporeranno ciò che noi abbiamo già avuto in abbondanza e questo dovrebbe essere sufficiente a far star bene la tua assenza che sarà presenza nella nostra vita e nel profondo della nostra anima, d’altronde se siamo Figli dello stesso Dio non siamo poi così lontani, sempre saremo vicini. Grazie di cuore.
* Gi.fra Marineo

domenica 30 agosto 2009

Marineo, anche in consiglio comunale il saluto ai due sacerdoti trasferiti


di Piazza Marineo
Padre Salvatore La Sala e padre Salvino Pulizzotto, che lasciano i loro incarichi a Marineo, saranno ospiti in consiglio comunale.
La conferenza dei capigruppo del consiglio ha, infatti, determinato all'unanimità di invitare per un saluto ed un ringraziamento il Parroco e padre Salvino alla seduta di mercoledì 2 settembre alle ore 18.

venerdì 28 agosto 2009

La comunità francescana ci invita al saluto di padre Salvino Pulizzotto


di Giuseppe Taormina
Domenica 30 agosto, per la santa messa delle 18,00 (convento santa Maria della Dajna), i frati francescani invitano la comunità marinese al saluto di padre Salvino Pulizzotto.
Dal mese di settembre andrà a svolgere il servizio pastorale presso il centro padre Massimiliano Kolbe di Carini. Da parte nostra la partecipazione è un doveroso atto di gratitudine nei confronti di padre Salvino, che in questi anni ha generosamente operato, con carità cristiana, verso quelle famiglie più bisognose, soprattutto portando conforto e solidarietà agli ammalati com’ è nello spirito dei frati francescani. Grazie padre Salvino, con l’augurio che il Signore si serva ancora di te, quale strumento di amore e carità. Marineo Weblog

domenica 23 agosto 2009

Trasferimento di padre La Sala: lettera del consiglio pastorale al Vescovo


di Nino Di Sclafani
Stamane ho consegnato al Vicario Mons. Todaro una lettera per S.E. l'Arcivesco Paolo Romeo, a nome del Consiglio Pastorale di Marineo, avente per oggetto il recente trasferimento di padre Salvatore La Sala.
Eccellenza Reverendissima,
Le scrivo nella qualità di vice-presidente del Consiglio Pastorale di Marineo e a nome delle seguenti realtà ecclesiali: Azione Cattolica, Agesci, Comunità Missionarie del Vangelo, Gioventù Francescana, Caritas Parrocchiale, Gruppo Shalom, Gruppo Catechisti, Rinnovamento dello Spirito, Gruppo Liturgico, Gruppo di preghiera San Pio, Equipe di catechesi Pre-Matrimoniale, Terziari Francescani, Gruppo Famiglie, MarineoSolidale Onlus, Confraternita di San Ciro, Confraternita del SS Sacramento, Confraternita di S. Antonino, Confraternita di Gesù Maria Giuseppe, Confraternita dell’Immacolata, Confraternita di San Michele, Confraternita del SS Crocifisso.
La nostra comunità è attonita e confusa alla notizia che il nostro Parroco Don Salvatore La Sala è stato destinato da S.E. alla guida di un’altra Parrocchia della Diocesi.
Siamo consapevoli che la responsabilità delle scelte pastorali ricada legittimamente tra le prerogative del Suo mandato Episcopale, ciò nonostante tale scelta rattrista enormemente tutta la nostra comunità ecclesiale.
E’ altresì evidente, che in alcun modo la presente riflessione tende a sottovalutare le potenzialità e capacità di Padre Leo Pasqua, che tanti di noi conoscono ed apprezzano, e che S.E. ha scelto come nuovo pastore della nostra comunità e che noi accoglieremo con immensa gioia.
Il decennale mandato svolto tra di noi da Padre Salvatore è stato foriero di una significativa crescita spirituale, religiosa e culturale dell’intera comunità Marinese. Il suo operato, caratterizzato da perseveranza, presenza, consiglio e, anche, lo ammettiamo, fermezza nelle scelte importanti, ha dato molto frutto. Il solo pensiero del venir meno di un Padre tanto solerte e, perché no, anche esigente, crea in tutti noi sentimenti di tristezza, grande è, infatti, il debito di riconoscenza di tutto il paese verso la sua missione di pastore.
L’associazionismo cattolico ha avuto in questo decennio una consolante rinascita, parimenti sono state ricostruite dopo decenni di inattività confraternite che tanta parte ebbero nella storia della nostra comunità. A dare adito alla nostra speranza è stata, però, più di ogni altra cosa, la presenza di tanti giovani che si sono impegnati ad intraprendere un cammino di catechesi e di consapevole e fruttuosa appartenenza alla Chiesa di Cristo.
Fulcro e ispiratore di questa opera di evangelizzazione è stato Don Salvatore. Non possiamo perciò tacere la nostra preoccupazione. Sentimento, tra l’altro, aggravato dalla consapevolezza delle difficoltà oggettive che egli dovrà affrontare nella nuova parrocchia a lui assegnata ove sussistono problematiche sociali e morali molto diverse dalla nostra Marineo.
In quanto alle finalità della presente riflessione, siamo ben consapevoli che le scelte di S.E. sono motivate ed ispirate da una visione di insieme di cui difficilmente ci è dato di conoscere le variabili. Né, peraltro, possiamo mettere in discussione le determinazioni adottate da S.E., verremmo meno al nostro dovere di ossequioso rispetto e tradiremmo quegli stessi valori che in questi anni Don Salvatore ci ha trasmesso con il suo esempio e la sua coerenza. Le chiediamo solo di accogliere benevolmente questo nostro pensiero fiduciosi nella speranza di essere riusciti a comunicarLe le nostre autentiche emozioni e preoccupazioni.
Invochiamo la sua Benedizione perchè ci infonda coraggio e perseveranza nel proseguire il nostro cammino di comunità cristiana fedele a Cristo ed alla Chiesa.
CONSIGLIO PASTORALE
Parrocchia SS Ciro e Giorgio Marineo
Il Vice-Presidente
Antonino Di Sclafani

sabato 22 agosto 2009

Marineo, in scena la Dimostranza 2009


di Piazza Marineo
Nell'ambito dei festeggiamenti di San Ciro, oggi a partire dalle ore 16 verrà rappresentata la Dimostranza di San Ciro.
La regia è curata da Salvatore Trentacosti. Aiuto regia sono: Rosa Alba D'Amato, Chiara Lo Faso e Silvana Lo Faso (Nel filmato, l'edizione 1997).

venerdì 21 agosto 2009

Da Marineo a New York (e ritorno)


di Santo Lombino*
Nuccio Benanti e Ciro Guastella, autori di questo volume che si legge tutto d’un fiato data la scorrevolezza e la gradevolezza dell’esposizione, hanno pubblicato una ricerca di storia locale senza cadere nel municipalismo e nell’agiografia.
Con buona pace di coloro che dicono che la storia locale non esiste, possiamo ben dire che è stata condotta a termine con criteri scientifici una ricerca di storia e non una semplice cronaca degli avvenimenti. Hanno inoltre saputo utilizzare all’interno della ricerca anche osservazioni che derivano da uno sguardo sociologico ed antropologico, capace di andare alla radice dei fenomeni esaminati, per esempio facendoci quasi toccare con mano lo stretto nesso tra le ricorrenze religiose legate al culto di San Ciro, medico eremita martire di Alessandria d’ Egitto vissuto nel III secolo d.C., diventato nel 1665 patrono di Marineo (Palermo), e il ciclo stagionale che governa i lavori agricoli. “Ciascuna festa doveva dunque essere celebrata — ha scritto l’antropologo Nino Buttitta – in un tempo preciso, nei momenti in cui in dipendenza dai mutamenti stagionali si passava da un’attività all’altra. L’aratura, la semina, la potatura, la raccolta dei diversi prodotti della terra venivano così a iscriversi in una dimensione religiosa, e i riti a questa connessi assolvevano precipuamente alla funzione di sacralizzare il tempo e lo spazio”.
Il cammino di San Ciro corrisponde anche al cammino di tantissimi che sono andati a vivere a otto-diecimila km. di distanza, durante la grande migrazione transoceanica dalla fine dell’Ottocento agli anni ‘60 del Novecento. La comunità di Marineo (come altre della provincia di Palermo) ha battuto in breccia altri comuni e territori della Sicilia: già nel 1880 c’erano già consistenti gruppi di marinesi nella Little Italy di New York e già nel 1901 una colletta tra emigrati aveva condotto alla realizzazione di una statua in bronzo di S. Ciro nella piazza antistante la Chiesa madre. Il “salasso” di popolazione avvenne però tra il 1901 ed il 1013: in quel periodo la cittadina passò da diecimila abitanti a quasi settemila, e le statistiche ufficiali del Ministero Industria Agricoltura e Commercio sommano più di seimila partenze tra il 1892 e il 1915.
Sul fenomeno della “grande migrazione” italiana si sono diffusi molti stereotipi, alcuni assai duri a morire. Fino a pochi decenni or sono, sembrava dalle pubblicazioni sull’argomento che le società tradizionali fossero caratterizzate dall’immobilità della popolazione, mentre le società contemporanee avessero visto l’improvvisa esplosione del vulcano migratorio. Si trascurava il fatto, come ha sostenuto lo storico Ramella, che pratiche di mobilità locali sono esistite anche nelle società apparentemente caratterizzate da stanzialità permanente. Oltretutto, i territori italiani da cui cominciarono gli spostamenti significativi di popolazione a metà del sec.XIX non sono le regioni meridionali, come molti pensano, ma regioni come il Piemonte, la Liguria, il Veneto, che già dal 1861 diedero vita ad un esodo notevole verso altre parti d’Europa e fornirono masse di passeggeri alle navi in partenza per l’America del Nord e del Sud. Il meridione arrivò tardi, negli ultimi decenni del secolo XIX, mentre all’interno di esso la Sicilia resistette per decenni e partecipò massicciamente alla diaspora con cifre significative solo dal 1901 in poi.
Anche in considerazione di queste caratteristiche spaziali e temporali, molti storici non sono più convinti della validità assoluta dell’equazione latifondo e miseria = emigrazione. Le partenze, da quanto emerge studiando con attenzione i dati dei registri delle navi e degli archivi, non riguardano solo le zone povere dell’interno della Sicilia con agricoltura intensiva o miniere di zolfo, ma anche le zone costiere delle colture agrumicole, degli scambi commerciali e dell’attività della pesca. Accanto e forse prima della spinta espulsiva derivante da cattive annate agricole, da guerre doganali, dalla crisi dello zolfo, dalla repressione dei “Fasci dei lavoratori” da parte del governo Crispi nel 1893-94, va considerata, secondo un modello più recente, anche la forza di attrazione delle città industriali del “nuovo mondo”, che offrivano ai più intraprendenti una prospettiva concreta di ascesa nella scala sociale della terra di partenza dopo qualche anno di sacrifici e rinunce. Ecco perché il 70% dei partenti erano maschi senza famiglia al seguito, ecco il perché della elevata cifra dei rimpatri: si trattò quindi, almeno per una prima fase e per una grande fascia di partenti, di una migrazione temporanea all’interno di precise strategie familiari, messa in atto calcolando le possibilità derivanti dalle rimesse con cui nella terra di origine si poteva acquistare terreno e costruire un’abitazione decente. Tanto è vero che non partivano solo i lavoratori agricoli, ma anche artigiani, commercianti, pescatori, professionisti in cerca di fortuna: i più poveri, probabilmente, non avrebbero potuto neppure investire nel biglietto di viaggio e nelle spese iniziali del soggiorno oltreoceano.
Molti partirono clandestinamente, molti si ammalarono durante il viaggio, per tanti di loro una fredda accoglienza nella terra di arrivo, e spesso la xenofobia ed il pregiudizio razziale, come ha ben descritto Gian Antonio Stella nel libro “L’orda”. Gli italiani, preceduti da una “campagna di stampa” negativa cui avevano partecipato nel mondo anglosassone anche scrittori come Mark Twain e Charkles Dickens, erano considerati a metà tra i neri e i bianchi, a volte “crumiri” a volte “sovversivi”, chiamati dago, cioè persone facili all’uso del coltello, o wop, cioè senza documenti, con vocabolo che ricorda per assonanza il “guappo” napoletano.
Per affrontare i disagi derivanti dalla differenza di lingua, dal carattere più industriale che agricolo della produzione, dalla diversità di costumi e comportamenti, gli emigrati costituirono delle associazioni di mutuo soccorso che ebbero un’interessante evoluzione nel corso dell’Ottocento e all’inizio del Novecento. All’inizio infatti si trattò, a New York come in altre città statunitensi, di organismi promossi dagli esuli risorgimentali con scopi di propaganda politica e di assistenza ai bisognosi. Poi si ebbe il tentativo di dar vita ad associazioni di mutuo soccorso a carattere “chiuso”, su basi regionali o interregionali, promossi in genere da notabili settentrionali. Dopo l’unità d’Italia si cerca di unificare, in genere sotto l’egida del consolato italiano, le precedenti associazioni, che resistono ad ogni tentativo di fusione: spesso i social club si trasformano in organismi finanziari, piccoli istituti di prestito che tentano anche attività speculative.
Nel ventennio finale del secolo XIX arrivano i meridionali, definiti “urban villagers” o “village-minded”.Forniti di “mentalità di soggiorno” in quanto continuano a vivere nella metropoli americana come se vivessero nel loro paese di partenza, essi conoscono all’inizio due tipi di interazione sociale: la famiglia e il campanile. Si arriva alla formazione di migliaia di sodalizi su base comunale “chiusa”, quindi fortemente campanilistica, che in linea di principio forniscono aiuti ai soci in stato di necessità e danno un sussidio per il biglietto di ritorno ai malati costretti a tornare in Italia. In pratica i club sostituiscono il paese di origine in quanto danno la possibilità di incontrare amici e conoscenti, discutere problemi comuni (lavoro, casa, viaggio), servono a “indirizzare la nostalgia”, consentono ai maggiorenti di essere insigniti di onorificenze altisonanti. Spesso gli organismi di emigrati serviranno ai “notabili”, che contribuiscono finanziariamente al loro sviluppo, come trampolini di lancio per scalate sul piano sociale, economico e a volte politico, spesso avranno un ruolo nel “padrone system”, cioè nel lucrativo sistema di collocamento della manodopera proveniente dall’Italia sul mercato del lavoro nordamericano. I giudizi degli osservatori sul ruolo svolto da questi organismi sono contrastanti: secondo alcuni hanno contribuito a rallentare l’integrazione degli italiani nella società americana, frammentando ancor di più gli emigrati, secondo altri invece i club hanno funzionato come “camere di compensazione” per attutire e rendere agevole l’impatto col nuovo mondo, funzionando quindi da strumenti di integrazione.
Una svolta si ebbe comunque a partire dal 1907, quando il medico di origini siciliane Vincent Sellaro fondò l’ordine dei Sons of Italy in America (OSIA), destinato a raggruppare moltissimi italiani, raggiungendo nel 1918 ben 125mila soci: l’ideologia dei Sons of italy era un misto di progressismo americano e nazionalismo italiano. Lo scoppio della prima guerra mondiale e partecipazione prima italiana e poi statunitense (1917) contribuì ad avvicinare gli italiani agli altri gruppi etnici statunitensi. Negli anni 20 e 30 gli italiani comprendono l’utilità di unirsi in organismi unitari nazionali per valorizzare il loro status dentro la società americana, anche se gli anni 30 vedono una progressiva americanizzazione degli stili di vita dei nostri emigrati: conseguentemente entra in crisi l’associazionismo etnico, che riprenderà quota solo nel secondo dopoguerra con la National Italian American Foundation (NIAF) che conduce battaglie per la difesa del “buon nome” italiano.
Il culto dei santi e l’organizzazione di feste e processioni da parte dei Club servono a esprimere e conservare, sostiene in un saggio Sergio Bugiardini, la lealtà campanilistica. La fede dei meridionali non si esprime però nelle modalità gradite alla Chiesa cattolica statunitense, dove prevalgono i fedeli irlandesi. Così, non mancano le frizioni e le società di emigrati, anche se intitolate a santi patroni, giungono a volte a distaccarsi dalla Chiesa cattolica. Sarà la Chiesa cattolica italiana, presente in territorio americano con i padri scalabriniani, a cercare la mediazione tra i sodalizi di origine italiana e la Chiesa cattolica ufficiale.
I marinesi presenti nello stato di New York danno vita, come gli oriundi di Mezzojuso o di Bolognetta, a una associazione di mutuo soccorso intitolata al loro santo protettore, ufficialmente “incorporata” nel 1905 per iniziativa di un notaio-banchiere. l libro traccia con ricchezza di particolari le origini e le attività della Società San Ciro, che inizialmente era presente a New York e a Garfield nel New Jersey, città dove stendardi e statue sono stati trasferiti pochi anni or sono, dopo la chiusura per mancanza di soci del Club nuovaiorchese. Sarà questo un social club di lunga durata, mentre altri gruppi si scioglieranno con l’americanizzazione e l’assimilazione dei nuclei iniziali.
* Intervento del porf. Santo Lombino in occasione della presentazione del volume: Nuccio Benanti, Ciro Guastella, Il cammino di San Ciro. Dalle piramidi dell’ Egitto ai grattacieli di New York. PMbook.
Marineo, 20 agosto 2009

giovedì 20 agosto 2009

Marineo, una manifestazione spontanea di fede: i viaggi a San Ciro


di Nuccio Benanti
Una delle caratteristiche più rilevanti della festa di san Ciro è rappresentata da una manifestazione spontanea di fede che sfugge all’occhio dell’osservatore più distratto: i viaggi a santu Ciru.
Si tratta di un pellegrinaggio spontaneo che numerosi fedeli, a piccoli gruppi, formati in genere da parenti, vicini di casa e conoscenti, fanno qualche sera prima della processione. Il viaggio, intrapreso prevalentemente da donne, alcune delle quali a piedi scalzi, consiste nel percorrere il tragitto della processione, dopo il tramento, con la coroncina tra le mani, pregando. Questo pellegrinaggio può essere fatto almeno per due motivi. Il primo è in segno penitenziale, per ringraziare per l’avvenuto miracolo, sia per chiedere una grazia particolare al santo. In tal senso ha carattere di ex-voto. La seconda ragione riguarda, invece, la presenza alla processione di san Ciro: quando una donna non può prendervi parte il giorno stabilito, offre al santo il viaggio in sostituzione.
Negli ultimi anni, oltre alla presenza discreta, quasi invisibile, delle donne che fanno i viaggi spontanei, si è assistito anche alla organizzazione, da parte di gruppi parrocchiali e confraternite, di pellegrinaggi organizzati, ai quali partecipano numerosi gli assidui frequentatori della chiesa parrocchiale, anche uomini. Durante il percorso, che inizia davanti alla chiesa Madre e che si snoda lungo il percorso tradizionale della processione (corso dei Mille, piazza Castello, via Garibaldi, piazza sant’Anna, via Umberto I, via Patti, via san Michele, corso dei Mille) si recita il rosario di san Ciro.
Al termine del viaggiu, le donne sostano alcuni minuti davanti al portone o dentro la Matrice, per concludere le preghiere e per chiedere l’intercessione del santo per i bisogni delle loro famiglie. Questo pellegrinaggio è un atto volontario con il quale il fedele si reca in religiosità di spirito fino ad una meta: il luogo santo. Alla fine del percorso il pellegrino chiede che venga esaudito un desiderio personale, ma anche un approfondimento della propria vita personale. Ciò è possibile grazie alla purificazione dell’animo attuata lungo una cammino comune esteriore ed interiore, fatto in preghiera e in penitenza.

martedì 18 agosto 2009

Presentazione del libro su San Ciro


di Piazza Marineo
Giovedì 20 agosto, alle ore 21, presso il Centro Carpe di Corso dei Mille n.110 - Marineo, sarà presentato il libro “Il Cammino di San Ciro. Dalle piramidi dell´Egitto ai grattacieli degli Stati Uniti” di Nuccio Benanti e Ciro Guastella.
Il volume sarà distribuito dagli autori (gratuitamente) nel corso della serata.
Il libro racconta, nella prima parte, della terrena esistenza del medico Ciro e delle vicende che condussero, dopo il martirio, il suo teschio da Alessandria d´Egitto fino a Marineo. Nella seconda parte si narra come, nelle maleodoranti stive dei bastimenti, San Ciro condusse per mare migliaia di marinesi fino al nuovo mondo, inseguendo sogni di benessere e riscatto sociale. Infine è raccontata l´ultima diaspora che ha visto il Santo seguire le comunità paesane da New York al New Jersey.

lunedì 17 agosto 2009

Arrivano i francesi!


di Giovanni Perrone
L’ho colto sul fatto! Stava proprio gettando nell’improvvisata e deprecabile discarica a metà strada tra Marineo e Godrano, al bivio per la Base scout della Massariotta, del materiale.
Non so come si chiama, né ho osato chiederglielo. “Perché? – gli ho domandato timidamente - aggiungere altra schifezza?” “Arrivano i francesi! Non posso tenere a casa cose vecchie ed inutili. Mia moglie sta facendo grandi pulizie per accogliere gli ospiti”, la sua pronta risposta. “Anzi, lei, direttu’, chi li canusci, nun ci può diri di purtarini sordi. Stu gimillaggiu si non porta turismo e dinari a chi servi?”. “Ma tu nun travagghi?”, domando.”Sugnu a lu voscu e cu la disoccupazioni e autri travagghi nun mi pozzu lamintari. Ma, li me figghi chi hannu a fari?”, mi risponde. Ed aggiunge: “Po’ sacciu ‘ca vennu puru l’americani e chiddi di santu Ciru… Li francisi su ricchi. Chiddi chi eru a santa Siculeni dicinu ‘ca lu paisi pari un salottu: tuttu pulizia e ciuri!”
Di contro, i numerosi gruppi scout provenienti da varie parti d’Italia, che transitano dalla Massariotta, continuano a chiedermi il perché di tanta sporcizia in giro e delle discariche a cielo aperto. Tornando dal recente viaggio in Turchia alcuni nostri concittadini hanno dovuto constatare che “cosi di turchi!” bisogna dirlo nella nostra Sicilia e non in Turchia, ove si sta velocemente sviluppando il turismo grazie alla capacità di investire il denaro pubblico. “C’erano ovunque pulizia e fiori!”.
Siamo tanto abituati al “pacco dell’America”, al sussidio di disoccupazione da abbinare al lavoro nero, alle varie forme di assistenza, alla maniacale pulizia in casa e alla sporcizia sparsa per le strade da non accorgerci che sviluppo, turismo, soldi non possono venirci dagli altri, ma da noi stessi. Per vari motivi (anche clientelari) si preferisce distribuire assistenza, impegnare i giovani in lavori che non insegnano a lavorare (castrandoli intellettualmente nel periodo in cui dovrebbero essere aiutati a sviluppare capacità imprenditoriali), sovraccaricare le amministrazioni pubbliche di persone che non sanno cosa fare, utilizzare le risorse europee per creare assistenza e non lavoro. Facciamo proclami antimafia senza accorgerci che la mentalità mafiosa si annida anche nelle varie forme di pizzo che talora siamo costretti a pagare per avere qualche aiuto; abbiamo difficoltà a valorizzare le numerose risorse umane e materiali presenti nel territorio. Tanti nostri giovani si trascinano sino alle prime luci dell’alba tra un bicchiere ed uno spinello per potere poi alzarsi a mezzogiorno; mezzo Marineo sta cadendo a pezzi e le case costano carissime; stiamo sempre in giro con le nostre auto e le posteggiamo selvaggiamente; produciamo (in proporzione) il doppio di spazzatura della ricca Brescia… E poi parliamo di turismo e lavoro, aspettando che siano gli altri a risolvere i problemi che creiamo noi stessi.
La grande sfida per noi è passare dalla logica assistenziale a quella del vero lavoro e dell’imprenditoria, alle tasse pagate da tutti e all’impegno di ciascuno per rendere più bello il nostro paese. E’ una sfida di cui tutti siamo responsabili!
Sicuramente accoglieremo i francesi, gli americani e gli amici di Atena Lucana con la nostra tradizionale e calda ospitalità che ci onora; amministrazione e congregazione stanno facendo del loro meglio pur con limitate risorse. Senza un impegno comune che ci porta a cambiare mentalità anche i festeggiamenti saranno una forma di assistenza da consumare. Che, come tante sagre, farà consumare tante risorse ma lascerà tanti nostalgici ricordi e nulla più.
Non illudiamoci, i gemellaggi non possono portare soldi ed assistenza. Possono aiutare a riflettere e a creare nuove mentalità e durature amicizie. Perciò hanno grande validità. Cambiare mentalità, però, non è facile. Richiede un coraggioso impegno di ciascuno e di tutti. Dobbiamo chiedere a San Ciro che ci aiuti a divenire dei buoni cittadini per poter essere dei buoni cristiani.
Grazie, perciò, agli amici sigolenesi per questi venticinque anni trascorsi insieme. Tra l’altro ci aiutano a capire che un paese può divenire sempre più bello e più accogliente (in tal senso ho constatato di persona, anno dopo anno, la capacità dei sigolenesi). Esprimiamo gratitudine a quanti l’hanno voluto e l’hanno saputo portare avanti.
A tutti gli ospiti, oltre a dare il nostro affetto, offriamo un paese più pulito, più ordinato, più bello.
A proposito, una buona pulizia e verniciatura alla statua di Sainte Sigoléne e una accurata pulizia della pavimentazione della piazza antistante la madrice non guasterebbero.