giovedì 14 agosto 2014

Sul "Ristretto e miracoli di san Ciro" a cura del gesuita Francesco Paternò


di Nuccio Benanti
MARINEO. «Nacque san Ciro da pii e onorati parenti nella gran città di Alessandria, e fiorì verso la fine del terzo secolo della Chiesa [...] e parve predestinato dalla provvidenza».
Inizia con queste parole il Ristretto e miracoli di san Ciro, edito a Napoli nell’ormai lontano 1707, a cura del gesuita Francesco Paternò. Questo volume, considerato la prima biografia scritta in Italia «con lo scopo di propagare la devozione del santo con la storia dei suoi prodigi» (Raia 1902), è consultabile anche in formato digitale (sfoglia) grazie al Progetto Google Libri. Lo schema di svolgimento del racconto è quello tipico della letteratura agiografica. Nella prima parte, il protagonista riceve un’educazione cristiana. Superati gli interessi mondani, Ciro comincia a curare i malati gratuitamente. Infine, dopo essersi ritirato a pregare nel deserto, il santo viene sottoposto a prove, ostacoli e sofferenze, che sfociano in una morte tanto esemplare quanto predestinata, avvenuta il 31 gennaio del 303, al culmine di una persecuzione particolarmente violenta nella parte orientale dell'Impero. Il racconto, per ammissione dello stesso Paternò, venne compilato sia sulla base delle notizie tratte dagli scritti di Sofronio che dalle informazioni «dello stesso Bollando che con più pienezza de gli altri ne ha parlato» (Paternò 1707). San Ciro visse ad Alessandria d'Egitto nella seconda metà del III secolo. In particolare si interessò agli studi di medicina per i quali la città era famosa grazie all’opera di Galeno. Sofronio ricorda nei suoi scritti l’amore per la conoscenza che animava Ciro. Conoscenza non fine a se stessa, né, tanto meno, mezzo di arricchimento, bensì prezioso strumento per servire il prossimo. Difatti l’appellativo che gli venne attribuito fu proprio di medico anarghiro, senza argento, poiché gratuitamente prestava la sua opera ai bisognosi. Sostenendo che i mali fisici sono una diretta conseguenza dei mali spirituali, Ciro parlava agli infermi di Cristo e della religione cristiana, insegnando che le infermità dell'anima non sono le più gravi, ma di più fanno male al corpo perché in questo generano le malattie più pericolose (Prevete 1961). Negli anni dell’eremitaggio, Ciro mutò radicalmente il sistema di medicare i suoi pazienti. Non usò più farmaci o erbe, ma soltanto preghiere ed insegnamenti cristiani: «Gesù non dava delle medicine, ma dava la medicina, che era la sua Parola. E grazie alla sua parola i malati guarivano. "Ora dico: alzati e cammina". "Che cosa vuoi che io ti faccia", dice al cieco di Gerico. "Signore che io veda". E Gesù risponde: "Si lo voglio". Si lo voglio... Quindi c'è sempre una richiesta da parte dell'orante e un esaudimento da parte di chi ha il potere di guarire, che avviene sempre per mezzo della Parola» (Damigella 1999).