venerdì 8 agosto 2014

Stefano Daidone nella Little Italy: da aspirante pugile a padre modello


di Ciro Guastella
A Stefano fece una grande impressione vedere quei cavalli con il fiato grosso, ed il vapore che usciva dalla loro bocca, mentre trainavano un carro con una autobotte di acqua, assieme ai ghiaccioli venutesi a formare a seguito del liquido perduto, al ritorno da un incendio che era stato domato dai vigili del fuoco.
Era il 1920 in pieno Inverno, Stefano aveva appena compiuto 14 anni ed era sbarcato a New York assieme a suo padre proveniente da Palermo con la nave Madonna. Dopo aver trascorso il periodo obbligatorio di sosta ad Ellis Island, ora era il primo giorno che si affacciava sulla grande e fredda Città, aveva attraversato Canal Street ed il Bowery e si era immerso nella Little Italy con le sue strade affollate da immigranti che giornalmente arrivavano da ogni parte dell’Europa. Su Mulberry street, Grand street, Elizabeth street, Mott street si affacciavano in uniforme fila i caseggiati con multipli appartamenti messi in affitto, gli appartamenti usati da grosse famiglie non disponevano di molti vani ed erano dotati di un comune bagno situato nel corridoio. Gli aromi provenienti dalla cucina, le voci, i canti e perfino i litigi di una famiglia venivano percepiti e condivisi da tutti i residenti di quel palazzo, il peggio però avveniva durante l'estate quando il caldo afoso trasformava i multivani in vere caldaie insopportabili, era una situazione alla quale tutti si sottoponevano agli inizi del loro arrivo, perchè invariabilmente nei loro cuori avevano la speranza di riuscire a migliorare la loro vita e trasferirsi in altri luoghi, preferibilmente in una propria casa appena acquistata e provvedere nel contempo un futuro migliore per i figli. Il padre di Stefano, Ciro, in passato aveva fatto diversi viaggi in America ed ogni qualvolta ritornava a Marineo, con i soldi che accumulava comprava una casa, una pagliera, o un pezzo di terreno. Ciro, calzolaio di mestiere, ogni mattina da Elizabeth street si recava a piedi fino a Whitehall street per imbarcarsi sul ferry-boat che l’avrebbe portato a Staten Island; arrivato lì, sempre a piedi continuava per arrivare al posto di lavoro. Ovviamente, la sera per il rientro, il lungo faticoso percorso veniva fatto all'inverso. Stefano studiava e trovava anche diversi lavori; tarchiato e con muscoli ben sviluppati frequentava la palestra dei pugili dilettanti; lì conobbe diversi “talent-scout” e provò anche a battersi sul ring nella categoria dei pesi medi, ma quando un giorno rientrò a casa con l'osso del naso rotto, non ci volle molto per il padre convincerlo a cambiare carriera. Fra i vicini di casa Marinesi c'era la famiglia Calderone, il capofamiglia Gaspare aveva un carretto trainato dal cavallo e giornalmente vendeva frutta e verdura all’angolo della Grand e Mulberry streets, Stefano aveva conosciuto e sposato la figlia di Gaspare, Catherine, una bella ragazza che insegnava nella scuola cattolica gestita dalle suore nella chiesa “Madonna del Loreto”. Dalla loro unione nacquero Charles e Gary, al terzo parto, si trattava di gemelli, per complicazione sopravvenuta morivano Catherine con i gemelli. Stefano dedicò la sua vita alla sana crescita dei due ragazzi, lavorava come capo-reparto in una fabbrica di metalli preziosi ed i proprietari gli consentivano di assentarsi per portare e riprendere dalla scuola i giovani. Preparava in cucina tutti i pasti e con enorme sacrificio provvedeva a tutte le loro necessità. Mai gli venne in mente l'idea di risposarsi. Soltanto dopo la crescita dei figli, Stefano nel 1960 si concesse un viaggio in Italia, era l’anno delle Olimpiadi a Roma, vi partecipava lanciando la sua carriera di pugile un giovane di colore, Cassius Clay, divenuto poi Muhammad Ali e campione mondiale dei pesi massimi. Stefano si fermò un paio di giorni a Roma presso lo zio, il maresciallo dell’Esercito Silvestre Arnone, per poi proseguire per visitare i fratelli e la sorella a Marineo. In paese i preparativi fervevano, per la prima volta si metteva in scena sul palco la Dimostranza sulla vita di San Ciro e Stefano, dopo quarant'anni di assenza, finalmente assaporava le vecchie tradizioni, rivedeva il paese e gli amici della sua infanzia con molto entusiasmo. Quel ricordo rimase sempre vivo nella sua memoria, perché occasionalmente ne tirava fuori i particolari senza mai saper nascondere i sentimenti di nostalgia e di affetto che lo legavano alla terra lontana. I figli, Charles ormai pensionato e Gary già nonno da tempo, ricordano la gentile figura del padre: un uomo vissuto con molta semplicità ed umiltà, amato da tutti per il sorriso e l'amicizia che spontaneamente trasmetteva a chi l'incontrava. Stefano non aveva accumulato fama o patrimonio per essere ammirato dagli altri, ma possedeva un dono naturale che suscitava disinteressata simpatia verso l'uomo che aveva saputo vivere una vita da cristiano, in pace con se stesso, con gli uomini e fondamentalmente con Dio.