mercoledì 20 agosto 2014

Aspettando la Dimostranza: in mostra costumi, immagini e documenti


di Nuccio Benanti
Sarà visitabile dal 22 al 25 agosto la mostra di costumi, immagini e documenti “Aspettando la Dimostranza” allestita dalla Confraternita di San Ciro nella sede della Comunità missionaria del Vangelo (piazza Sainte Sigolène). 
In Feste patronali in Sicilia, volume XXI della Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane (Palermo, 1871-1913) Giuseppe Pitrè invita il lettore interessato ad un approfondimento a leggere una dettagliata cronaca pubblicata a puntate sul Corriere dell’Isola, tra il 21 e il 26 settembre 1894, a firma di Francesco Sanfilippo, dal titolo “La Dimostranza di Marineo”. Scrive Sanfilippo: «Non è la solita novella piena di delirio poetico che vi descrivo, perché non mi sento nato a buona luna; ma è lo studio accurato e veritiero delle cose e dei costumi montanari, che rendono la vita quassù soggetto osservabile, affatto differente dagli usi comuni di cui è piena la città. E non intendo con ciò di mettere il ridicolo al mio paese, poiché in cima ad ogni mio ideale c'è stato sempre l'amor del nido natio; ma ho voluto fare come il pittore, se la penna non mi casca dalle dita: ritrarre e non inventare, per porre nella tavolozza il bello artistico, la semplicità paesana, l'azione primitiva correa al nascere del genio e farla ammirare e conoscere agli amatori di cosiffatti studii». Nel testo vennero rappresentate diverse tenzoni oratorie come questa: «Un furbo misilmerese, essendo amico personale del prefetto Siriano, si ricordò che una qualche buona parola dell'amico poteva se non altro lenire in parte in parte la dura condanna di San Ciro. Avvicinatolo mentre questo istruisce, l'abbraccia e bacia e poi in tono di preghiera serio gli dice: “Compare Peppi, siate uomo di pancia, vi prego io pel San Giovanni, gettate a libertà l'amico”. Ma il Siriano pronto risponde: “Eh compare Palino, non posso, l'omertà finìo, perché deve scontare il dito che rubò a San Giusto”». E sono numerosi i passi in cui si accenna alla problematica relativa alle barriere sociali e al dibattito politico della fine del XIX secolo. Appartenente ad una famiglia povera, il diavolo era pagato dall’angelo che recitava nella stessa scena: «Il Diavolo guadagna sei tarì al giorno; signori socialisti, aprite gli orecchi». La Dimostranza era stata una grande conquista per il popolo, che poteva finalmente prendersi beffa, nelle pubbliche piazze, del potere costituito, sia laico che religioso, trasformandola – difatti – in un grande baccanale: «Uno dei poveri che riceve l’elemosina da San Ciro […] non crede ad altro che al nettare, la professione di fede che il Pulci fa dire al lercio gigante Margutte. Beve beato […], egli non cerca arzigogoli, non si dilunga in ringraziamenti, non crede ad altro… che al vino». Il potere costituito, invece, si difendeva come poteva: «Una volta, ricordo che l'imperatore recitava, mentre proferiva con voce concitata il verso concitatissimo: “Lacerate, struggete”, egli, per dare maggior forza, fece con le braccia il movimento come a dimostrare l'effetto. Ma nella destra impugnava lo scettro, e in quel furore la punta d'esso sbattè sul muso d'un indomito cavallo che stava pacificamente a lato gustando un po' di prosodia. L'animale, a quella carezza insalutata, dette un gran salto indietro ed investì un suo compagno; questi alla sua volta tira due calci che li riceve un altro e il male si contagiò a tutti. Per un momento vi fu un putiferio. Cavalieri caracollanti in alto e in basso che spronano e frenano; spettatori che fuggono; soldati che guizzano dalle gambe; voci, nitriti: un diavolìo generale. Ma il più spaventato fu il povero San Ciro, che per fortuna si ebbe i soli piedi pestati: chetatosi un po' l'arruffìo, il San Ciro con le tasche piene, si rivolge all'imperatore, extra Dimostranza, e gli grida: “Ohè! Compare Caifas! Come diavolo voi vi chiamate, che ci debbo lasciar la pelle qui io forse? Sangue...” (a San Ciro). E l'imperatore tutto rosso: “Orbo degli occhi, ma chi ci ha colpa? E' stato lo scettro che ha urtato sul muso d'un cavallo, è stato...” “Che scecco e scecco,” urlava quegli gesticolando, “peste che vi pigli, lo buttate via lo scecco e ne fate senza!».