lunedì 23 settembre 2013

La Chiesa di Francesco: l'intervista della rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica


di Nino Di Sclafani
MARINEO. L'annuncio di una lunga intervista, concessa da Papa Francesco ad Antonio Spadaro, direttore della rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica, ha suscitato subito negli organi di stampa molto interesse.
Si è oramai abituati a scoprire la freschezza e la semplicità del messaggio del nuovo pontefice, giorno dopo giorno, nelle omelie a Santa Marta, negli Angelus, nei discorsi ufficiali, in piccoli gesti di prossimità che egli compie con la gente. Un'intervista ufficiale, però, rilasciata ad uno degli organi di stampa più prestigiosi della Chiesa, la Civiltà Cattolica, che pubblica i suoi Quaderni sin dal 1851, non poteva che creare molte aspettative. Purtroppo, come spesso accade, gran parte dei commentatori si è concentrata su alcune frasi, estrapolate dal contesto dell'intervista, facendone titoloni in prima pagina e trascurando che il ragionamento portato avanti dal papa nelle 29 pagine del testo è molto più complesso e, per certi versi, più dirompente di quanto non siano alcuni assunti, ancorché, obiettivamente innovativi. Limitarsi a riportare estratti come "l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile" oppure "Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi." conduce a travisare il concetto espresso nel lungo testo dell'intervista. Partiamo dall'inizio. Il papa si definisce un peccatore,"un peccatore a cui il Signore ha rivolto il suo sguardo", richiamando l'immagine di un quadro di Caravaggio in cui Gesù sceglie il pubblicano Matteo e lo invita a seguirlo. Egli confessa, altresì, di non essere "abituato alle masse", ma di preferire il contatto personale, lo sguardo diretto con l'interlocutore, ciò rende evidente che Bergoglio "è abituato più alla conversazione che alla lezione." Nello spiegare le ragioni della sua scelta di farsi gesuita egli afferma: "Io non mi vedo prete solo: ho bisogno di comunità". Così la Compagnia di Gesù gli ha consentito di trovare, grazie all'esempio di S. Ignazio di Loyola, quegli strumenti e quel metodo che più si confacevano alla sua vocazione. Richiamando le Costituzioni della Compagnia e l'opera di altri gesuiti illustri come S. Francesco Saverio e Pietro Favre il papa delinea la metodologia ecclesiale e l'approccio spirituale che lo hanno formato durante il corso del suo cammino di fede che è stato e rimane un cammino comunitario: "Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si realizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare". "Il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. Sentire cum Ecclesia dunque per me è essere in questo popolo. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere, e manifesta questa sua infallibilitas in credendo mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina." Siamo al nocciolo del pensiero di Bergoglio, è l'intera Chiesa che nella sua totalità certifica le Verità della Fede. Papa, vescovi, presbiteri e popolo di Dio, si trovano dunque sullo stesso piano e con pari dignità agiscono nel costruire l'ecclesia, la comunità, a cui Gesù ha affidato la sua parola e l'onere dell'annuncio della Buona Novella. Comprendendo la forza di questo concetto egli precisa: "Non bisogna dunque neanche pensare che la comprensione del 'sentire con la Chiesa' sia legata solamente al sentire con la sua parte gerarchica", rafforzando così il ruolo di tutti i battezzati nella testimonianza del Vangelo poiché "la Chiesa è la totalità del popolo di Dio." Dall'identità della Chiesa, così come delineata dal papa, scaturisce quale debba essere oggi il suo vero ruolo: "la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso. Il farmaco più importante che miracolosamente guarisce ogni ferita è la Misericordia al cui esercizio siamo tutti chiamati, in modo particolare i presbiteri "che devono innanzitutto essere ministri di misericordia (...) devono essere persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche di scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi. Il popolo di Dio vuole pastori e non funzionari o chierici di Stato." Siamo passati da una Chiesa con porte chiuse dove bisognava bussare, anche con forza, per potere entrare, ad una Chiesa che spalanca le porte e si mette in attesa dei fratelli. Ciò però non basta. L'invito del papa è di uscire dai templi ed andare alla ricerca del fratello che si è (o abbiamo) allontanato. Come non ricordare lo sforzo che la nostra parrocchia sta facendo in tal senso oramai da alcuni anni. Alla luce di queste premesse Bergoglio giunge a dire: "La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile." Si comprende benissimo dunque che non si tratta di cambiare i principi morali, bensì di accettare la condizione di libertà in cui Dio ci ha creati assumendo sempre e continuamente un atteggiamento di misericordia per chi percorre vie diverse, senza emettere sentenze inappellabili o anatemi definitivi. E' innegabile che l'attenzione della Chiesa si è concentrata per lungo tempo solo verso una categoria di peccati, attenzione che si è spesso tradotta in esclusione, allontanamento, emarginazione. "Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione". "Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza." Se l'atteggiamento sanzionatorio, ossessionato, assorbe le migliori energie della Chiesa, quale spazio rimane per l'accoglienza del figliol prodigo, quanta motivazione residua per intraprendere la ricerca della pecorella o della dramma smarrita? "Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla 'sicurezza' dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante. Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio". La ricerca della Verità, l'incontro con Dio e con la Fede che Egli ci dona è un cammino irto di difficoltà, di cadute e ripartenze, durante il quale bisogna diffidare da chi ostenta troppe certezze, "Sì, in questo cercare e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza. Deve esserci. Se una persona dice che ha incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza, allora non va bene. Per me questa è una chiave importante. Se uno ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per se stesso. Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio. Si deve lasciare spazio al Signore, non alle nostre certezze; bisogna essere umili." A chiusura dell'intervista il papa arricchisce la sua riflessione applicando categorie tipiche dell'interpretazione gesuitica alle problematiche di una Chiesa proiettata verso il futuro. Egli individua la triade Dialogo, Discernimento e Frontiera come momenti di un percorso virtuoso che proietta l'impegno di evangelizzazione verso il mondo moderno. Dialogo come incontro con l'altro, conoscenza intima delle sue paure e speranze; Discernimento, come capacità di interpretare, con onestà e coscienza, il campo di intervento ponendosi in un atteggiamento di accoglienza misericordiosa; infine Frontiera, l'incessante stimolo ad andare ai margini, incontrare l'altro "fuori casa", "la nostra non è una fede-laboratorio, ma una fede-cammino, una fede storica. Dio si è rivelato come storia, non come un compendio di verità astratte"(...) Non bisogna portarsi la frontiera a casa, ma vivere in frontiera ed essere audaci". Questa visione ricorda molto il tanto osteggiato pensiero profetico di Ernesto Balducci, che già decenni fa affermava, inascoltato, l'esigenza di un confronto continuo con la contemporaneità, "Essere profeti a volte può significare fare ruido, non so come dire… La profezia fa rumore, chiasso, qualcuno dice 'casino'. Ma in realtà il suo carisma è quello di essere lievito: la profezia annuncia lo spirito del Vangelo". Altrettanto balducciana è la sintesi che Bergoglio traccia nell'affrontare il tema del rinnovamento dottrinale della Chiesa "Ci sono norme e precetti ecclesiali secondari che una volta erano efficaci, ma che adesso hanno perso di valore o significato. La visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è errata." Ho riletto più volte l'intervista. E' innegabile che le parole di papa Francesco riempiono il cuore di speranza, sia per chi con fatica cerca di continuare un cammino di crescita nella Fede, che per coloro che si sono sentiti allontanati o esclusi a ragione delle loro scelte. Ritengo questo approccio foriero di una nuova primavera della Chiesa che permetterà di riconciliare in Cristo anche la nostra comunità ecclesiale offrendo spunti di riflessione e pacificazione interiore e comunitaria. Per chi voglia approfondire con una lettura integrale al link di La Civiltà Cattolica n.3918 potrà trovare l'intera rivista contenente l'intervista a papa Francesco.