mercoledì 19 marzo 2014
Da Agostino a Francesco: umiltà, la strada cristiana che conduce a Dio
di Nino Di Sclafani
Da quando Jorge Mario Bergoglio è divenuto papa si sono moltiplicate le iniziative editoriali che pubblicano gli scritti prodotti durante gli anni di incarico vescovile a Buenos Aires.
Tra gli editori che già seguivano le opere del cardinale argentino c’è l’Editrice Missionaria Italiana (EMI) che nel suo catalogo presenta numerosi titoli del papa. Uno di questi agili volumetti, dal titolo “Umiltà - La strada verso Dio”, ha per oggetto un commento ad un discorso di Doroteo di Gaza monaco ed abate del VI sec., sulla capacità di suscitare uno spirito di comunione nella Chiesa. Al centro del commento di Bergoglio c’è uno dei temi che più spesso egli ha riproposto nelle sue catechesi e nei discorsi da pontefice: la perniciosa predisposizione, tra i cristiani e nella Chiesa, alla maldicenza ed allo sparlamento. La calunnia, lungi da essere quell’inoffensivo “venticello” di rossiniana memoria, diviene strumento di offesa e umiliazione dei fratelli. Per rafforzare la sua critica Bergoglio ricorre a Sant’Agostino: «Ci sono degli uomini soliti pronunziare giudizi temerari, maldicenti, brontoloni, mormoratori, pronti a sospettare ciò che non vedono e a lanciare addosso all’altro ciò che nemmeno riescono a sospettare» (Discorso 47). Il pensiero di Agostino incontra pienamente il concetto che il papa vuole portare avanti e infatti egli aggiunge: “La mormorazione ci porta a concentrarci sulle mancanze e i difetti altrui; crediamo, in questo modo, di sentirci migliori.” E’ un tema che abbiamo sviluppato proprio in queste serate di missione parrocchiale: calunniando il prossimo si crede di accrescere il personale prestigio, conquistare l’altrui ammirazione e, spesso, sviare l’attenzione dalla trave conficcata nel proprio occhio convinti che l’opinione pubblica sia molto più interessata alla pagliuzza delle vittime della diffamazione. Ciò porta Bergoglio a sintetizzare: “Parlar male dell’altro è un male, poiché non si limita al livello di commento, ma passa allo stadio di aggressione. Sant’Agostino chiama il mormoratore «uomo senza speranza».” E’ drammatico e duro il commento del papa, forte della consapevolezza delle immani sofferenze che queste categorie di persone riescono ad infliggere al prossimo e a se stessi; a riprova della fondatezza del suo pensiero riporta proprio la riflessione di Agostino: «Gli uomini senza speranza quanto meno badano ai propri peccati, tanto più ficcano il naso in quelli degli altri; e li indagano non per correggerli, ma per criticarli. E dato che non possono scusare se stessi, son sempre pronti ad accusare gli altri» (Discorso 19). A questi uomini, dice il padre della Chiesa, è «rimasta soltanto la debolezza dell’animosità, la quale tanto più è fiacca quanto più crede di avere maggiori forze» (Esposizione sul Salmo 32,29) Dunque la soddisfazione momentanea, illusoria, del denigrante è godimento di un momento ma non può nascondere l’intima solitudine di cui egli soffre. E’ un po’ quello che succede a quei solitari autori di stragi che pur di eccellere ed assurgere alla ribalta della notorietà sono disposti a compiere il male assoluto noncuranti della morte e del dolore che arrecheranno ad incolpevoli vittime. La dinamica di questa deriva viene lucidamente individuata da Bergoglio nel commento al discorso di Doroteo di Gaza. In queste persone “prende vigore uno stato di ansietà che è anch’esso un cattivo spirito. Avvezzi a sospettare di tutto, costoro vanno a poco a poco perdendo di vista la pace, che è caratteristica della fiducia nel Signore. La buona soluzione dei conflitti deve passare, secondo loro, per il setaccio del loro continuo controllo. Sono continuamente agitati dall’ansietà, che è il prodotto combinato dell’ira e della pigrizia.” In questo tempo forte di quaresima potrebbe essere un buon proposito, come più volte proposto da Padre Leo durante le omelie, di cercare di sviare la tentazione del “parlar male”; di fare uno sforzo di introspezione per liberare l’anima da quei tormenti, da quelle mancanze, da quelle tare che ci si portano appresso da tempi remoti, che spingono ad indirizzare verso i fratelli l’azione denigratoria. Il successo di questa opera di penitenza non gioverebbe solo alle vittime ma anche agli artefici di questo male che potrebbero scoprire una nuova dimensione di riconciliazione con se stessi, con Dio e con i fratelli.