L’origine della festa patronale di san Ciro, come avviene per altri momenti festivi in Sicilia, può essere senz’altro trovata negli antichi riti agrari di propiziazione.
Erano riti intesi a propiziare l’ordinata scansione dei cicli stagionali, da cui dipendeva il buono o il cattivo destino dei raccolti. Tutto era sottoposto rigidamente ai ritmi naturali: dalla loro annuale regolare ripetizione dipendeva la vita della comunità. Ciascuna festa doveva così essere celebrata in un tempo preciso, nel momento in cui in dipendenza dei mutamenti stagionali si passava da un’attività all’altra. L’aratura, la semina, la potatura, la raccolta dei diversi prodotti della terra venivano in questo modo ad iscriversi in una dimensione religiosa, e i riti a questa connessi assolvevano precipuamente alla funzione di sacralizzare il tempo e lo spazio.
La festa di Marineo è stata così suddivisa in due momenti dell’annata agraria. A fine agosto si recano offerte di grano per garantirsi simbolicamente la buona stagione e la salute del bestiame. Infatti, la terra deve prepararsi ai rigori dell’inverno per proteggere al suo interno il seme che assicurerà la nuova vegetazione.
Nel mese di gennaio assistiamo invece ad una ricorrenza «povera» di distrazioni, ma molto ricca di preghiere in un momento in cui la natura deve esprimere tutta la sua energia per produrre. Questo è il programma. Per nove sere (novena) viene recitato il rosario, alle ore 18, seguito dalla celebrazione eucaristica. Il 30 gennaio si celebrano i vespri solenni. Il 31 si celebrano le messe, con orari festivi, per tutta la giornata. La sera si svolge la processione.
Oggi il rapporto tra comunità e ciclo agrario non è più dominante: la festa così viene chiamata a svolgere altre funzioni, come quella dell’identificazione della comunità. L’ordine della processione è quello della società naturale, dato dalle stesse dinamiche sociali, generazionali, economiche, politiche…
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