di Nuccio Benanti
La vicinanza, il legame spirituale tra il sacrificio di Cristo sulla croce, il suo sacrificio eucaristico e il sacrificio dei santi martiri è messo bene in evidenza nell'Apocalisse di san Giovanni.
«Vidi sotto l'altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano resa […]. Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide con il sangue dell'Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro» (Ap 6, 9; 7, 14-15). I martiri sono coloro che hanno un rapporto privilegiato con la divinità: per questo motivo possono operare da intermediari tra il contesto terreno e quello divino. Non c'è dubbio, quindi, che Ciro di Alessandria rappresentò da subito, per la cultura cristiana del tempo, un valido esempio di santità. La sua vita mirabile, nonché la sua gloriosa morte consentirono, infatti, ai primi credenti di additarlo come testimone della fede ad imitazione di Gesù Cristo. Per i cristiani dei primi secoli il culto dei santi non differì molto dalla pietà nei confronti dei defunti. Dopo il martirio, avvenuto il 31 gennaio del 303, alcuni uomini del luogo raccolsero i corpi di Ciro e di Giovanni di Edessa. Durante la più violenta delle persecuzioni, quella di Diocleziano, «le reliquie dei martiri erano premurosamente raccolte dai seguaci» (Sumption 1981). Successivamente Ciro e Giovanni vennero sepolti nella chiesa di San Marco, ad Alessandria. E in questo luogo le salme rimasero per un secolo. La venerazione delle reliquie esisteva, quindi, già a partire dal II secolo. Nel V secolo Vittricio vescovo di Rouen descrisse i santi come una legione impegnata nella battaglia contro il male (Sumption 1981). Il culto delle reliquie fu criticato fin dagli inizi dai cristiani più rigorosi, considerandolo una forma di paganesimo. In risposta alle critiche, san Girolamo scrisse: «Noi onoriamo le reliquie in onore di colui che trova testimonianza nella loro fede. Noi adoriamo il Maestro attraverso i suoi servi» (Sumption 1981). Lo stesso sant’Agostino chiamò i martiri «templi della fede». Ma la pietà popolare andava ben oltre il riconoscimento dei teologi, chiedendo al santo la guarigione. A Canopo, all’interno nella chiesa che custodiva i corpi dei due santi, la principale pratica devozionale era quella dell’incubatio, ossia di dormire distesi sul pavimento e attendere, durante il sonno, l’apparizione di san Ciro che indicava i rimedi e le guarigioni. Una comparazione col culto precristiano di Asclepio non è affatto fuori luogo (Bettini 1999). Infatti, sia nei culti precristiani che in quelli dei primi cristiani all’idea del sonno era connessa l’apparizione miracolosa, che spesso aveva specificatamente funzione taumaturgica. Il sogno è considerato, tuttora, come un territorio al confine tra il cielo e la terra, in cui appaiono i santi per orientare o aiutare i vivi. San Tommaso d’Aquino riassunse le varie opinioni, pro e contro il culto delle reliquie, concludendo che andavano venerate per tre motivi. Primo, perché sono il ricordo vivo dei santi. Secondo, perché lo Spirito santo opera anche attraverso l’anima (che è in cielo) e il corpo (sulla terra) dei santi. Terzo, perché attraverso i miracoli avvenuti presso le loro tombe, Dio ha dimostrato il desiderio che vengano venerati: quindi sono intercessori presso il Padre (Sumption 1981).
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