venerdì 29 maggio 2009

Una infernale minaccia incombe sul piccolo villaggio di pescatori


di Teatro del Baglio
Il 29 e 30 maggio, alle ore 21, al Teatro del Baglio di Villafrati va in scena: “Horcynus Orca. Parte terza: Inferno”. Di Nicola Grato e Santo Lombino, da Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo (ed. Rizzoli), con Ciccio Brucoli, Salvina Chetta, Filippo Coppola, Giuseppe Di Dato, Flavia Garlisi, Luna Giralucci, Valeria Lo Bue, Angelo Mangano, Rosario Mercante, Valerio Mirone. Scene Maria Angela Ignoti, luci Andrea Ferraro, musiche originali Valerio Mirone, regia Enzo Toto.
Una infernale minaccia incombe sul piccolo villaggio di pescatori dove è ritornato ‘Ndrja Cambrìa, fortunosamente scampato alla guerra: l’Orca orcinusa, un Leviatano che viene dal mare a portare morte. Ne fanno esperienza due pescatori, padre e figlio, sbalzati dal mostro a riva e i delfini-fere, inesorabilmente divorati. Dell’”animalone” osserva meticolosamente le movenze e ne discute il volubile umore un gruppo di abitanti di Cariddi, beneficiati peraltro dall’emergere della “cicirella”, alimento quanto mai gradito in tempo di guerra, procurato dalle possenti manovre dell’Orca moribonda per una terribile ferita che le squarcia il fianco e destinata a essere “scodata” dalle fere.
Incaricato dal capo della comunità Luigi Orioles di sondare nei paesi d’intorno le condizioni per una ripresa dell’attività marinaresca, ‘Ndrja si reca fino a Messina, città distrutta dai bombardamenti, dove viene prescelto da un faccendiere dell’Autorità militare occupante quale capovoga di una regata dimostrativa. All’iniziale rifiuto della proposta seguirà, al ritorno in paese, la considerazione dei vantaggi che ‘Ndrja stesso e la comunità potrebbero trarre dall’adesione alla gara sportiva: una somma di denaro da utilizzare per la costruzione di una nuova barca per la pesca e, soprattutto, l’ “arenamento” dell’Orca, i cui resti saranno smembrati e venduti dai pellisquadre, che mai si sarebbero, in tempo di pace, dedicati ad attività così distanti dal loro povero ma dignitoso “mestieruzzo”. È questa la mutazione culturale sulla quale si arrovella ‘Ndrja, stupito dallo “straviamento” del carattere dei componenti del villaggio, a cominciare dai più stimati e riconosciuti. Da questa consapevolezza egli, ancor giovane ma appesantito dal fardello della guerra, è spinto ad assumersi compiti di responsabilità nei confronti dei compaesani. Il peso di questa investitura sarà per lui foriero di tragica sorte: proprio durante i preparativi per la regata andrà incontro, non si sa quanto inconsapevolmente, alla pallottola vagante che lo trascinerà nell’abisso della morte, infernale e definitiva deriva e conseguenza ultima della guerra.

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