lunedì 8 settembre 2014
Una storia di lunga durata che non si è mai letta sui libri scolastici
di Pippo Oddo
Con un decreto del 1859, ispirato da Camillo Benso conte di Cavour per favorire l'esercito francese che appoggiava i piemontesi contro l'Austria, veniva autorizzata l'apertura di case controllate dallo Stato per l'esercizio della prostituzione in Lombardia.
Il 15 febbraio 1860 il decreto fu trasformato in legge con l'emanazione del "Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione". Sorsero così le cosiddette "case di tolleranza", perché tollerate dallo Stato. Ce n'erano di tre categorie: prima, seconda e terza. La legge fissava le tariffe, dalle 5 lire per le case di lusso alle 2 lire per quelle popolari, e altre norme come la necessità di una licenza per aprire una casa e di pagare le tasse per i tenutari, controlli medici da effettuare sulle "signorine" per contenere le malattie veneree. Si farà poi carico il leader socialista Filippo Turati a porre all'ordine del giorno, nel 1919, il problema dell'abolizione delle case di tolleranza. Predicò al vento: per tutto il ventennio fascista lo Stato continuò a lucrare sulla prostituzione e la normativa rimase pressoché immutata. La sola novità registrata in quegli anni fu una nuova disposizione di Mussolini che imponeva ai tenutari di case di tolleranza di isolare i locali con muri detti "del pudore" alti almeno dieci metri. Ma già prima il regime aveva autorizzato l'apertura di nuove case anche nei piccoli comuni e nelle colonie, a cominciare da Tripoli "bel suol d'amore". Nella sola Napoli fino al 1958, anno della chiusura, ce n'erano circa 900.