mercoledì 29 aprile 2009

Sotto un velo di sabbia... un sogno

Giovedì 30 aprile, ore 21, al Teatro del Baglio di Villafrati va in scena lo spettacolo Sotto un velo di sabbia, liberamente tratto dai racconti Questo è un uomo di Davide Camarrone Il mare è piccolo ma Dio è grande di Giosuè Calaciura. Con Alessandro Haber e Caterina De Regibus. 
Scene Ferruccio Bigi e Arrigo Benedetti; musiche originali Mario Incudine; regia Sandro Tranchina con Alfio Scuderi e Roberto Salemi. 
Lo spettacolo racconta due storie che, insieme, compongono metaforicamente un unico viaggio di andata e ritorno lungo quella rotta tra l’Africa e l’Europa in cui ogni giorno migliaia di disperati si avventurano: non sappiamo veramente quanti ne muoiono senza approdare sulle nostre coste, meno ancora sappiamo di quelli che approdano e vengono rispediti indietro. Protagonista è il giovanissimo Ismaele, unico alfabetizzato della sua famiglia di pescatori, desideroso di coronare il sogno di raggiungere l’Italia e per questo disposto a mentire. Infatti inventa storie fantastiche e un luogo geografico da sogno che chiama Italia, approfittando dell’arrivo delle lettere di un cugino emigrato. Lo fa per convincere suo padre a lasciarlo partire per raggiungere il cugino, per sfuggire a una vita senza futuro: andrà incontro a un futuro senza vita. 
Dalla storia di Ismaele passiamo a quella di un giornalista italiano di seconda generazione dalla pelle scura, Osea Boucouba, scomparso senza lasciare traccia durante un’inchiesta condotta tra le realtà misere e disumane dello sfruttamento del lavoro nero e dei “centri di prima accoglienza”. Scopriremo che una donna, Fatima, lo ha incontrato, in un infernale campo (in tutto simile ai lager dell’Olocausto) nel deserto libico. La donna racconterà la sua storia in uno stato di trance, ma la forza delle parole farà rivivere allo spettatore il viaggio infernale di Osea e di tutti i rimpatriati extra comunitari, che l’Europa civile e moderna si ostina a ignorare, come fece nel secolo scorso con la tragedia dell’Olocausto. I due narratori incarnano col proprio corpo le parole con cui ci raccontano le storie di Ismaele e di Osea; in loro tutto è espressivo, dagli occhi alle mani, ai piedi; ci appaiono come due stregoni del villaggio, capaci di trasmettere con le parole immagini che non pensavamo di poter vedere.
La tragedia, che è tragedia del mondo come qualunque strage di uomini a opera di altri uomini, è la sintesi di qualcosa d’immane che si abbatte sulle nostre teste: non la semplice morte di un uomo, ma la morte di un sogno.

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