di Pippo Oddo
Leonardo Sciascia sosteneva che «non c'è paese in Sicilia, in cui la passione di Cristo non riviva attraverso una vera e propria rappresentazione, in cui persone vive o gruppi statuari non facciano delle strade e delle piazze il teatro di quel grande dramma i cui elementi sono il tradimento, l’assassinio, il dolore di una madre».
Se ciò è vero in generale, a Ispica (chiamata fino al 1935 Spaccaforno) il dramma è ingigantito dalle peculiarità storiche che rimandano alle origini del paese e alla sua conformazione urbanistica. L’abitato attuale comprende un’area d’impianto settecentesco con una maglia a scacchiera e un’area d’impianto medievale con tracciati viari irregolari, adiacente ad una rupe dove sono i ruderi di una fortezza (nota come “Fortilitium”), nucleo principale della città che prima del terremoto del 1693 si sviluppava nella parte finale della Cava d’Ispica. Successivamente alcuni quartieri furono ricostruiti intorno alle chiese rimaste bene o male in piedi (S. Antonio, Carmine, Minori Osservanti), altri furono tracciati ex novo sul Colle Calandra con vie larghe e dritte, dove a poco si sono trasferiti anche gli ultimi abitanti della Cava. Fatta questa premessa, è forse il caso di lasciare la parola a Salvatore Brancati, che peraltro è autore della foto postata: «Uno dei momenti più importanti dell'anno – scrive – per i siciliani è sicuramente la Pasqua: la passione, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo vengono commemorati in vari modi in ogni luogo dell'isola con riti molto sentiti e commoventi che non mancano di affascinare anche chi del posto non è. Ispica, cittadina dalle origini preistoriche, vanta una tradizione pasquale che da secoli richiama forestieri e pellegrini provenienti soprattutto dal circondario. Sfarzose luminarie, lunghe file di bancarelle, colorate bande musicali, larghe strade affollate da persone elegantemente vestite annunciano i giorni della festa a Ispica: fede, folklore e tradizione si fondono regalando spettacoli di grande interesse e bellezza. La Settimana Santa ispicese è preceduta dall'intenso lavoro di preparazione di confraternite e associazioni che inizia subito dopo il Carnevale […]. C'è già allora a Ispica un'atmosfera particolare, c'è in tutti un'agitazione particolare, l'ansia che accompagna l'attesa degli avvenimenti importanti. E l'avvenimento importante per Ispica è la tradizionale celebrazione della Settimana Santa, i cui giorni di punta sono il Giovedì e il Venerdì dedicati alla venerazione dei simulacri del Cristo flagellato alla Colonna e del Cristo con la Croce sulle spalle, e i cui riti commoventi e suggestivi vengono celebrati, davanti a vere maree di popolo, nelle basiliche di S. Maria Maggiore e della SS. Annunziata. Il popolo ispicese, che ancora oggi si divide nelle contrapposte fazioni dei Cavari e dei Nunziatari, devoti rispettivamente al Cristo alla Colonna e al Cristo alla Croce, durante la Settimana Santa sente pienamente di ripetere gesti e usanze dei secoli passati, grazie alla fede e all'ardore religioso degli avi, tramandati di padre in figlio. La Settimana Santa ispicese ha origini antichissime: la tradizione vuole che un crocifisso ligneo fosse venerato nella chiesa rupestre di Santa Maria della Cava, ancora oggi esistente, dal santo eremita Ilarione nel IV secolo dopo Cristo. Il volto e le mani di quel Crocifisso ligneo, scampati alle distruzioni iconoclaste, furono in seguito applicati a un Cristo legato alla colonna che, miracolosamente risparmiato dal terrificante terremoto del 1693, fu poi trasformato da un abile artigiano di Noto, Francesco Guarino, nell'attuale gruppo a tre statue, con macchinetta in legno indorata, che oggi viene venerato nella festa che si celebra il Giovedì Santo. Il nutrito programma inizia la notte del giovedì con la Via Crucis notturna che parte dalla chiesa rupestre di S. Maria della Cava e si conclude sul loggiato del Sinatra prima dell'apertura delle porte della Basilica di Santa Maria Maggiore e il tradizionale ringraziamento all'altare del Cristo. Si prosegue nella mattinata con lo svelamento della sacra immagine, per giungere al momento culminante: la lunga processione del Cristo alla Colonna che si protrae dal pomeriggio fino a oltre la mezzanotte del giovedì. Ogni anno giungono da ogni parte da ogni parte per il Giovedì e il Venerdì Santo oboli pietosi al Cristo miracoloso, per grazia ricevuta o per implorare un miracolo. Alle colonne delle bellissime chiese vengono appesi i caratteristici ex voto in cera, raffiguranti bambinelli e parti del corpo. È festa di popolo: una moltitudine di gente assiste alle manifestazioni della Settimana Santa a Ispica. Alla folla di ispicesi si aggiunge lo stuolo di forestieri accorsi per il fascino e la fama delle processioni: caratteristico il lento incedere per le vie della città, al crepitìo della tràccola, dei pesanti simulacri portati a spalla da giovani gagliardi, mai stremati dal gradito sforzo, al suono di elegie funebri suonate da bande orgogliose». Alla dotta descrizione di Brancati vale la pena di aggiungere che ad Ispica gli anziani ricordano ancora a memoria come l’Ave Maria questi detti popolari: 1) Vuliti sapiri cu su li cavari? Cuattru panzuti e ddù tammurinieri! vuliti sapiri cù sù li nunziatari? Principi, baruna e cavaleri. (Volete sapere chi sono i cavari? Quattro panciuti e due tamburini! Volete sapere chi sono i nunziatari? Principi, baroni e cavalieri). 2) Lu cunigghiu avi la tana, lu surci lu pirtusu e Vui patri amurusu, n'avistuvu né tana né pirtusu. Tutta a notti Vi batteru cu na viria ri ranatu, Vi purtaru nni Pilatu scausu, nuru e scapiddatu. (il coniglio ha la tana, il topo il buco e Voi padre amorevole, non avete avuto né tana né buco. Tutta la notte Vi hanno percosso con un ramo di melograno, Vi hanno portato da Pilato, scalzo, nudo e spettinato). 3) Santa Rusalia ri Palemmu, Sant'Agata ri Catania e u Santissimu Cristu ri Spaccafunnu su numinati ppi tuttu lu munnu. (Santa Rosalia di Palermo, Sant'Agata di Catania e il Santissimo Cristo di Spaccaforno sono nominati in tutto il mondo). Per esagerato che possa sembrare, l’ultimo di questi detti ha un puntuale riscontro nella realtà, posto che gli ispicesi sono sparsi in tutto il mondo e ovunque si trovino parlano della tradizione del Santissimo Cristo flagellato alla Colonna.