lunedì 21 aprile 2014
La Pasquetta, ossia la festa della pace a Mongiuffi Melia (Me)
di Pippo Oddo
Per comprendere il significato del Lunedì dell’Angelo, detto Pasquetta (festività religiosa introdotta dallo Stato italiano nel secondo dopoguerra per allungare il periodo delle vacanze di Pasqua), bisogna far mente locale su questo passaggio del Vangelo secondo San Marco (16: 1-7), dove si può leggere:
1 E passato il sabato, Maria Maddalena e Maria madre di Giacomo e Salome comprarono degli aromi per andare a imbalsamar Gesù. 2 E la mattina del primo giorno della settimana, molto per tempo, vennero al sepolcro sul levar del sole. 3 E dicevano tra loro: Chi ci rotolerà la pietra dall’apertura del sepolcro? 4 E alzati gli occhi, videro che la pietra era stata rotolata; ed era pur molto grande. 5 Ed essendo entrate nel sepolcro, videro un giovinetto, seduto a destra, vestito d’una veste bianca, e furono spaventate. 6 Ma egli disse loro: Non vi spaventate! Voi cercate Gesù il Nazareno che è stato crocifisso; egli è risuscitato; non è qui; ecco il luogo dove l’aveano posto. 7 Ma andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro, ch’egli vi precede in Galilea; quivi lo vedrete, come v’ha detto. Ora, la tradizione ha spostato questi fatti dalla mattina di Pasqua al giorno successivo (lunedì), forse perché i Vangeli indicano "il giorno dopo la Pasqua", anche se evidentemente quella a cui si allude è la Pasqua ebraica, che cadeva di sabato. Comunque sia, il lunedì dell'Angelo in Sicilia (ma anche nel resto d’Italia) è un giorno di festa non di precetto, che si trascorre in compagnia di parenti o amici con una tradizionale gita o scampagnata, pic-nic sull'erba e attività all'aperto. Con questa tradizione, che rende omaggio al risveglio primaverile della natura, è probabile che si voglia ricordare i discepoli l’apparizione di Gesù a due discepoli sulla strada che portava ad Emmaus, a pochi chilometri da Gerusalemme. Da qui l’assalto di Pasquetta al verde fuori porta e le pantagrueliche arrostite di salsiccia e carne ovina all’aperto. Ma a Mongiuffi Melia il lunedì di Pasqua si celebra la “festa della pace e degli Angeli”. «Tale festa – scrive Cosimo Giovanni Barra – ebbe origine nel 1830 per volere del Marchese Francesco Rao Corvaja, al fine di festeggiare la riappacificazione delle due comunità, fino ad allora divise a causa di un litigio avvenuto durante il palio. Purtroppo si svolse come istituita per soli quindici anni. Si cominciava quaranta giorni prima, con una riunione tra le due comunità avente luogo nella Chiesa del Marchesato, oggi San Sebastiano, durante la quale venivano scelti otto ragazzi; quattro per Melia, in onore del Cristo Risorto e quattro per Mongiuffi, in onore della Madonna. Veniva, inoltre, incaricata una persona per istruire questi ragazzi, i quali dovevano recitare un testo, in latino misto a dialetto siciliano, scritto dal sacerdote Giovanni Cuzari. Le famiglie si impegnavano per la buona riuscita della festa. Le donne si prodigavano a cucire le vesti bianche e gli addobbi per le ali con dei nastrini azzurri per Mongiuffi con la coccarda di San Leonardo, rossi per Melia con la coccarda di San Sebastiano. Gli uomini si occupavano, invece, di montare e addobbare il palco. Il lunedì mattina, giorno della festa, da Mongiuffi partiva una processione di quasi sole donne con abiti neri in segno di lutto. Ad aprire tale processione vi erano i tamburi, seguiti da una donna vestita di nero che portava una croce accompagnata da delle bambine le quali portavano gli strumenti della crocifissione (chiodi, martello, lenzuolo). Seguiva la confraternita delle Carmelitane in abito marrone e velo nero; la confraternita di Santa Lucia e i nobili con copricapo nero. Gli stendardi venivano coperti con un drappo nero. Tale processione, giunta a Melia, si portava nella chiesa Madre dove vi era la statua della Vergine anch’essa ammantata di nero; Il suo velo veniva sorretto da quattro ragazze vestite di celeste. A chiudere la processione era la banda musicale, seguita dalle donne del paese, ammantate con scialle nero. Contemporaneamente dalla chiesa del Marchesato usciva la processione composta in prevalenza da uomini, con la statua del Cristo risorto. Ad aprire tale processione era un uomo in camice bianco e cintura rossa con in mano un cero acceso, che si portava alla vista del mare. Se la fiamma andava verso la montagna si prevedeva un buon raccolto, se andava verso il mare si prevedevano brutti raccolti, se si spegneva si prevedevano sventure su tutto il paese. Usciva poi la confraternita di San Rocco, formata dagli uomini del Marchesato, con stola color amaranto, pantaloni sopra il ginocchio e calzettoni bianchi. Seguiva la confraternita dell’Immacolata, in abito celeste e copricapo bianco; I Sorores (ordine di casalinghe) con gonna blu camicetta bianca e veletta sulla testa. Poi era la volta dei nobili (famiglia del Marchese e ospiti) con abiti lussuosi. Poi era la volta dell’Arciprete, o il suo Luogotenente (poiché le due comunità erano sotto la direzione dell’Arcipretura di Taormina), seguito dalla statua del Cristo. Chiudevano la processione i contadini, provenienti dalle campagne circostanti, con in mano ceri addobbati con rami d’ulivo e alloro. L’incontro fra le due processioni avveniva nel cosiddetto “chianu di l’angiuli”. Dalla discesa di via Umberto, a quel tempo Gianfilippo, dove vi si era fermata la processione con il Cristo, ad un cenno del sacerdote partivano due bambini vestiti da angeli con in mano dei fiori e una bandiera bianco-rossa, che correndo andavano a chiamare la processione della Madonna fermatasi in via Ninfa Melia. Le due processioni avanzavano piano fino a raggiungere il piano degli angeli dove era stato allestito il palco degli angeli. Le confraternite si abbracciavano e mettevano via gli abiti di lutto. I primi ad incontrarsi di fronte al palco erano gli stendardi delle confraternite, il saluto avveniva facendosi l’inchino per tre volte. Dopo di che venivano tolti i veli che tenevano nascosti gli angeli sul palco, e veniva fatto cadere il velo nero della Madonna, lasciando quello bianco. A questo punto avveniva l’incontro delle Statue, che si venivano in contro quasi correndo e si facevano l’inchino per tre volte. Dai balconi addobbati con coperte e scialle di seta, venivano liberate delle colombe bianche e lanciati fiori e grano sulle autorità; il popolo sventolava fazzoletti bianchi e la campana del fondaco suonava a festa. Il clero si abbracciava, i nobili si complimentavano tra di loro e la confraternita di San Rocco distribuiva doni ai bambini. Venivano fatti salire sul palco anche i quattro angeli che reggevano il velo della Madonna. Da qui nasce la credenza che gli angeli non erano otto ma dodici e che non erano tutti vestiti di bianco, ma alcuni di celeste. Le autorità occupavano i primi posti di fronte al palco e aveva così inizio la recita. Alla fine si ricomponeva la processione, sulla destra in direzione del Cristo si disponevano quelli di Mongiuffi, sulla sinistra in direzione della Madonna quelli di Melia. Si procedeva così fino a raggiungere la chiesa di San Nicolò dove si celebrava la messa. La festa, come già detto all’inizio, si svolse così per circa quindici anni. In seguito ad un litigio tra clero e nobiltà per alcuni anni la festa non venne svolta. Riprese in maniera molto ridotta nel 1929». Non è dunque da escludere che nel ridente paesino peloritano le autorità civili e religiose dell’epoca volessero celebrare indirettamente anche il concordato tra lo Stato e la Chiesa. Ma ciò che più conta è che ancora ai nostri giorni la festa della pace è motivo di forte richiamo turistico.