sabato 21 marzo 2015

Carlo Greco: l'America e 11 anni sindaco di Marineo tra le guerre mondiali


di Ciro Guastella
Era pieno inverno a New York quando Carlo Greco era sbarcato con la nave America il 13 gennaio del 1913. Aveva 31 anni e già era sposato con Marietta, figlia di don Antonino Pecoraro, commerciante di alimentari all’ingrosso a Marineo.
Dopo avere passato con centinaia di emigranti periodo di sosta obbligatoria ad Ellis Island, assieme al cugino Onofrio Passantino, da anni residente a NewYork, cercava di piazzare la partita di vino che sarebbe arrivata da Palermo. Intendevano vendere in America quell’ottimo vino marinese come inizio, forse, di una nuova attività di esportazione, pioniera di più intensi rapporti commerciali. Carlo Greco, come annotarono le autorità di frontiera, era arrivato negli USA con 30 dollari in tasca. Molti per i tempi (il padre pastaio possedeva anche una rivendita di tabacchi), pochi per il suo carattere generoso, che diversi aneddoti narrati da chi lo conobbe testimoniano. A tal proposito, tra i numerosi atti di altruismo legati al suo carattere espansivo, si racconta che avendo incontrato per le strade della metropoli un infreddolito paesano che cercava di vendere ai frettolosi passanti semi e noccioline, mosso a pietà, gli avesse chiesto quanti dollari avrebbe potuto guadagnare quel giorno. Quando quello gli disse più o meno la cifra, mise mano al portafogli, gli diede i soldi corrispondenti raccomandandogli di tornarsene a casa per non lasciarci la pelle. “Non vedi – aggiunse scherzando – che persino le statue di bronzo (si riferiva al soprastante monumento a George Washington della piazza) indossano il mantello per il freddo che fa?” Avendo in poco tempo, com’era prevedibile, esaurito i soldi che si era portato da casa, col freddo newyorchese che lo terrorizzava e la nostalgia per il paese, decise di rinunciare al sogno americano e tornare presto al sole di Sicilia, dove lo attendeva un lavoro che, se non prometteva grandi agiatezze, gli consentiva almeno di vivere decentemente. Da giovane aveva imparato il mestiere di ebanista e, messa bottega in proprio, costruiva con successo mobilio per la clientela locale e i paesi vicini. La sua maestria si rivelava nella solidità della costruzione e nell’accuratezza dei dettagli dei lavori che eseguiva. Intagliatore estroso, costruiva i mobili secondo la moda del tempo in puro stile deco con intarsi di bella ed elegante fattura. Un cassettone e un comodino sopravvissuti alle varie vicissitudini, al degrado dettato dall’alternarsi delle mode, recentemente rimessi in ordine grazie all’amore per i mobili artigianali tornati in voga, sono in grado di competere con altri oggetti di “modernariato”. Carlo Greco fu eletto Sindaco di Marineo alla fine della prima guerra mondiale. Al conflitto aveva partecipato col grado di sergente maggiore come artigliere e tiratore scelto, per essere stato provetto cacciatore. Durante la guerra conobbe Gabriele D’Annunzio che, ammirato dai consigli che era in grado di suggerire ai superiori per migliorare il sistema di mira dei cannoni, gli fece pervenire in dono un paio di occhiali da sole. Dell’illustre “comandante” Greco ricordava, tra le singolarità del comportamento, che persino a tavola indossava i guanti liberando soltanto pollici e indici per tenere le posate. A Messina, sergente maggiore nella 98a Batteria Montegallo, incontrò Giacomo Matteotti che, pacifista, nella città dello Stretto era stato internato. Fu proprio la vittima più illustre del Fascismo a regalargli un paio di gambali d’artiglieria e dei polsini d’argento che conservò gelosamente per tutta la vita. Tra gli episodi non del tutto esemplari, che pur bisogna ricordare per conoscerne l’indole e il carattere, ma soprattutto per sottolineare l’amore che per lui la popolazione nutriva, occorre raccontare una singolare avventura eroicomica di cui fu protagonista nel 1919. Un giorno alla stazione di Bolognetta (il punto di ferrovia più vicino a Marineo) prendendo il treno diretto al capoluogo per il disbrigo di affari comunali, il controllore notava che, in possesso di un biglietto di seconda, egli occupava un posto di prima classe. Fu inutile fargli osservare che, non avendo trovato da sedersi in seconda classe, aveva occupato un posto disponibile cui pure avrebbe avuto diritto nella qualità di sindaco. Ma non ci fu verso di convincere l’intransigente ferroviere che, vestitosi dell’autorità che il ruolo e la divisa gli conferivano, gli intimava con malagrazia l’immediato ritorno nel compartimento di seconda. Il diverbio che ne nacque davanti a tanti viaggiatori che lo conoscevano e ne avevano preso le difese, si concluse con l’estromissione del controllore dal treno. Il convoglio fu fermato per l’intervento della polizia ferroviaria che scortò il sindaco fino in città per un più dettagliato accertamento dei fatti. Al commissariato fu trattenuto per cinque giorni. Ma quando in paese si seppe dell'imminente ritorno, i cittadini si fecero trovare tutti a “San Ciro della Balata” col gonfalone e la musica per dargli il benvenuto. Tornava sì "dalla galera", ma dall’incidente chiara era emersa la parsimonia del primo cittadino nell’impiego del denaro pubblico che, data la magrezza dei tempi, non riteneva opportuno sperperare con l’acquisto di costosi biglietti ferroviari di prima classe. Quisquilie preistoriche, fossili che oggi farebbero sorridere il più onesto degli amministratori. Restò in carica fino al 1922, anno in cui i sindaci eletti vennero sostituiti dai podestà, imposti dal governo fascista. Liberale per temperamento, offeso dall’ingiusta deposizione subita, ebbe nei confronti del Regime un’avversione che lo resero, se non un perseguitato, sicuramente mal sopportato dai suoi stessi compaesani, tra i quali il capo della Milizia che portava a spasso per le vie del paese pancia piena e testone adorno di fez con nappa nera. Nonostante gli inviti pressanti e le oscure minacce, rifiutò sempre la tessera del Fascio e fu un punto di riferimento per coloro che cominciavano a capire quale miseria e quante ingiustizie nascondessero la sicumera fascista, l’orgoglio patriottico e l’oceanico consenso delle piazze. Quando il prefetto Mori scese in Sicilia, nel 1925, con l’incarico di sradicare la mafia, Carlo Greco fu arrestato, ma gli venne risparmiato il confino destinato ai mafiosi, restando sorvegliato in paese. Quando molti, anche in un piccolo paese come Marineo, succubo della grossolana propaganda fascista, si resero finalmente conto dei danni che la guerra andava procurando, la sua popolarità aumentò a tal punto che in piazza, davanti a tanti compaesani, si poteva permettere di dire al fascistone – tra il serio e il faceto – che tra non molto tempo avrebbe orinato dentro il suo fez nero, odiato simbolo di sopraffazione. Ciò non accadeva nei riguardi di Onofrio Profita, suo avversario politico nelle elezioni del 1918, quando ancora il fascismo non aveva avvelenato i rapporti interpersonali. Alla sua morte, infatti, incaricatosi dell’elogio funebre, pronunziò commosse parole di addio, sincere e profonde, riconoscendo nel rivale la correttezza e l’onestà dell’agire. Dopo la caduta del fascismo, tardive arrivarono anche le scuse del commissario Urso (“…ma io lo avevo capito che lei era un galantuomo”) che nel 1925 aveva collaborato al suo arresto. Dopo lo sbarco degli americani, grazie alla popolarità e alla fiducia di cui godeva in paese, fu nominato sindaco con decreto prefettizio N. 2402 del 2 aprile 1945. Nel discorso di benvenuto che fece in occasione della visita a Marineo dell'on. Finocchiaro Aprile, fondatore del Movimento Indipendentista Siciliano, di cui resta la traccia autografa tra i documenti di famiglia, non parlò né dell’indipendenza della Sicilia né di separatismo. All’uomo politico di Lercara, il sindaco assicurava il sostegno personale e quello degli elettori, a patto che con la sua autorevolezza riuscisse a richiamare l’attenzione del Governo centrale sui gravi problemi di sottosviluppo del paese ancora privo di rete fognaria, oppresso dalla penuria dell’acqua potabile, dalla condizione disastrosa delle strade e soprattutto impoverito dalle ricorrenti frane che trascinavano a valle interi quartieri. Rimase in carica fino al 1948 quando, indette le elezioni democratiche, venne eletto nuovamente con risultati plebiscitari, tanto che il presidente del seggio elettorale poteva osservare che, se così chiari erano gli orientamenti degli elettori, perfettamente inutile era stato indire le elezioni. Sindaco fino al 1952, fu promotore di una serie di iniziative che portarono alla costruzione della rete fognaria, alla progettazione dell’acquedotto per l’adduzione dell’acqua delle sorgenti di Rossella, al riassetto delle strade urbane. Instancabile lettore, tra i pochi abbonati in paese al “Giornale di Sicilia” e al “Reader’s Digest”, assiduo ascoltatore del giornale radio, “il comunicato” gracchiato dal suo grosso apparecchio Magnadyne, incoraggiò e protesse le iniziative culturali allora possibili elargendo aiuti alle piccole compagnie teatrali (i Carrà, i Di Dio) che sulle scene del “teatrino comunale” portavano i drammi dell’Ottocento, Pirandello e Martoglio. Il dottore Ignazio Fiduccia, allora giovane segretario comunale, raccontava che, discutendosi in Giunta delle opere pubbliche da realizzare con i magri fondi di cui si disponeva, il sindaco mise in silenzio i consiglieri bocciando tutte le proposte di priorità e sostenendo che la prima opera da fare era la strada per il cimitero, allora malagevole viottolo. “I morti – disse – erano gli unici che, privi di voce per lamentarsi, avevano il diritto di precedenza su tutte le altre pur comprensibili esigenze”. Nel 1945 fu il principale artefice del ritrovamento di un ragazzo di Marineo rapito a scopo di estorsione da una banda di malviventi locali e si recò, assieme alla madre della vittima e ai carabinieri, a liberarlo dal nascondiglio in montagna dove il giovane era tenuto sequestrato. Dopo il 1952, estraneo alle manovre di corridoio dei nuovi politici, non volle più candidarsi. Della sua generosità, anche nella vita privata, gli anziani della famiglia se ne ricordano ancora, come quella volta che, andando a riscuotere la pigione degli appartamenti a Palermo, all’inquilino che quel mese non poteva pagare l’affitto diede pure dei soldi per potere sfamare la sua famiglia. Capace di dispensare in chiunque lo incontrasse coraggio e ottimismo, visse amato e stimato a dispetto degli avversari i quali - forti della sua passata adesione al Movimento Indipendentista Siciliano, che nel 1944 contava mezzo milione di iscritti, della nomina a sindaco avuta dopo la “liberazione” e soprattutto dell’innata autorevolezza del carattere – cercarono di adombrarne la figura e inficiarne la memoria. Per quanto riguarda l’operazione compiuta in Sicilia dal “Prefetto di ferro”, che vide coinvolto anche il marinese Carlo Greco, una confessione postuma di Cesare Mori la dice lunga sulla profondità delle indagini che egli fu in grado di condurre: “La qualifica di mafioso viene spesso usata in malafede (…) come mezzo per compiere vendette, sfogar rancori, abbattere avversari” (S. Lupo, Storia della mafia, Roma 1994). Di Carlo Greco, sindaco per antonomasia, resta tra i familiari e chi lo ha conosciuto il ricordo - che questo contributo intende rinnovare - di un’apertura mentale e di una schietta visione dell’agire nella gestione del patrimonio comune durante il tormentato periodo di travaglio sociale ed economico attraversato dal nostro paese tra le due guerre e nell’immediato dopoguerra. Nel quarto di secolo che gli restò da vivere poté dedicarsi, grazie al lavoro dei figli, quasi esclusivamente agli affetti familiari, l’unico privilegio di cui godette fu, con l’orgoglio di una vita intensamente vissuta, la soddisfazione di essere stato sinceramente amato dai concittadini per l’onestà dell’impegno politico. Si spense il 3 febbraio del 1965 accompagnato al cimitero da una folla di cittadini ancor più numerosa di quella che nel 1919 l’aveva accolto alla Balata. Con la morte del sindaco Greco si chiudeva, anche a Marineo, l’era della civiltà contadina e iniziava il capitolo della motorizzazione.
Nelle foto: Carlo Greco in divisa di sottufficiale a Messina; Il sindaco Carlo Greco (al centro), con l’Arciprete Mons. Natale Raineri e il medico condotto Pietro Sannasarda (a destra col bastone) davanti all’edificio scolastico.