mercoledì 28 gennaio 2015

San Ciro a Marineo: la donazione di Alessandro VII e origine del culto


di Nuccio Benanti
Ad oggi non è stato possibile ricostruire né attraverso le fonti storiche né orali i veri motivi che nel 1665 spinsero gli abitanti di Marineo a cambiare il patrono, a sostituire san Giorgio con san Ciro. 
Sappiamo, comunque, che «una occasione qualunque, un infortunio, una pubblica calamità, bastarono per soppiantare con un nuovo un vecchio patrono; e i devoti con armi e bagaglio, passare sotto la protezione di esso». (Pitrè) E che la presenza delle reliquie garantiva prestigio politico e autorità spirituale. Anche il marchese Girolamo Pilo, destinatario della donazione del teschio del santo, avrà quindi tratto popolarità e consensi dalla popolazione. Un sermone di Walter Suffield, vescovo di Norwich, fu in gran parte dedicato a dimostrare che l’Inghilterra era superiore alle altre nazioni per la collezione di reliquie che possedeva. Non solo una nazione, ma una regione, una città, un individuo acquisiva un nuovo status quando riusciva ad ottenere una reliquia preziosa, che valeva più dell’argento e dell’oro. (Sumption) La presenza dell’insigne reliquia e la notizia delle prime guarigioni operate dal “medico celeste” a Marineo furono certamente due degli elementi che ne decisero il rapido passaggio, in un’epoca piena di carestie e pestilenze come la seconda metà del Seicento. Ancora oggi i marinesi concludono il rosario del santo con una preghiera finale per scongiurare, appunto, «fami, pesti, guerri, tirrimoti, piccati mortali e divini flagelli». Il culto di san Ciro a Marineo trae, quindi, origine dalla donazione della reliquia concessa da papa Alessandro VII il 20 aprile 1665 al marchese Girolamo Pilo. La concessione e l’autenticità della stessa, secondo la testimonianza di due parroci di Marineo, Natale Raineri (parroco dal 1923 al 1970) e Francesco La Spina (parroco dal 1970 al 1999), autori di alcuni libri sulla parrocchia, è provata da una «pergamena romana» custodita all’interno dell’altare del santo, in chiesa Madre. Di questo documento si parla anche in un verbale redatto il 31 maggio 1935 in occasione del restauro dell’urna di argento che custodisce il teschio. Nel verbale si legge: «[...] Rimosso facilmente il coperchio, ha estratto un teschio che, da documenti esibiti di cui si annette copia, confortate dalla tradizione locale, risulta essere quello che dal 1665 è venerato quale insigne reliquia di san Ciro Martire». Nell’archivio della parrocchia è conservata una copia del documento, però manca l'originale. In mancanza di documenti di prima mano, sull’introduzione del culto di san Ciro in paese è sicuramente interessante l’analisi della diffusione del nome Ciro, osservabile attraverso una lettura del registro parrocchiale. E’ un dato certo che dal 1556, anno di istituzione della parrocchia, fino al 1664 nessuna persona in paese si chiamasse Ciro o Cira. Nei documenti dell’archivio parrocchiale questo nome non compare mai. Per la prima volta, il 24 giugno 1665 due genitori, Antonino e Adriana Ficarra, portarono il loro bambino, nato il giorno prima, dal parroco Onofrio Rocco e lo fecero battezzare chiamandolo Ciro. Questo fu il primo bambino marinese a portare il nome del nuovo patrono. Alla fine del 1665 ben 24 nati portavano il nome del santo, mentre nell’arco di due anni il nome Ciro fu dato a più di cento persone, in una popolazione che al tempo contava circa 2300 anime. Un fatto eccezionale, se si considera il tradizionale attaccamento dei siciliani ai nomi familiari o a quelli stereotipati. Anche nei secoli successivi si continuerà di questo passo, cosicché oggi è questo il nome più caratteristico di Marineo. Per quanto riguarda il successivo sviluppo del culto a Marineo, è testimoniato soprattutto dalla commissione di opere d’arte finanziate, a partire dal XVII secolo, sia da parte marchesi di Marineo che dal popolo. Fra le prime opere in cui compare la figura di san Ciro c’è una tela della seconda metà del XVII secolo custodita nella chiesa Madre che lo raffigura circondato da putti alati (Trentacosti). L’urna d’argento che custodisce la reliquia fu finanziata nel 1702 da un devoto, Giovanni Gozzo, per grazia ricevuta. La base del reliquiario venne invece commissionata, nella stessa epoca, dal marchese Ignazio Pilo. Mentre, sull’altare monumentale che custodisce il teschio si legge: «Edificato nel 1737 essendo marchese di Marineo Ignazio VI col concorso del popolo».