martedì 20 maggio 2014
Giusto Sucato e il museo Godranopoli, un sogno rimasto a metà
di Giovanni Franco
"Giusto rallenta, Giusto frena". La Fiat 500 andava sempre più veloce, percorrendo la strada in discesa che costeggia con stretti tornanti il castello di Cefalà Diana, ma lui alla guida dell'automobile rimaneva in silenzio e non rispondeva alle mie sollecitazioni sempre più incalzanti. Dopo alcuni minuti sbottò: "Giovanni, non posso bloccarla, i freni si sono rotti".
Ebbe il tempo di terminare la frase che l'utilitaria finì su un prato con l'erba alta. L'auto fermò così la sua corsa ma il percorso artistico di Giusto Sucato, era invece in ascesa, agli inizi degli anni '80. Pieno di buona volontà e di inventiva intensificò, in quel periodo, la sua collaborazione con Francesco Carbone, scomparso, il 23 dicembre 1999. Insieme a lui lavorò alla realizzazione del museo etno-antropologico della civiltà contadina e pastorale 'Godranopoli' ospitato in una palazzina di 240 metri quadrati con una pinacoteca d'arte contemporanea e una biblioteca di storia e di cultura siciliana. Giusto e Ciccino, come chiamavano Carbone i godranesi, giravano su una Fiat 128 per le trazzere a caccia di oggetti da esporre. Visitavano le masserie per trovare reperti che poi 'ripuliti' dalla polvere venivano mostrati ai visitatori. Insomma Godranopoli nacque nel 1983 anche per merito di Sucato. Giusto in quegli anni era ormai diventato di casa a Godrano. Dove c'era Carbone c'era lui. Con affetto e stima seguiva il critico d'arte nelle varie mostre in trasferta in tutta la Sicilia. Era una presenza costante. Ed è grande il suo rammarico nell'avere visto il museo chiuso dopo la morte del fondatore. "Di Francesco mi rimane il suo indelebile ricordo che conservo con riconoscenza per le opportunità che mi ha dato - ironizza - e una multa da pagare per eccesso di velocità che abbiamo preso durante un viaggio". Giusto, che oggi ha 64 anni e vive a Misilmeri, non recrimina nulla. Eppure sarebbe stato normale che a prendere le redini del museo fosse stato lui. Ma la ruota del destino ha girato in un altro modo. Sucato in questi ultimi anni non è stato con le mani in mano. Anzi. Ha continuato a giocare con la memoria rielaborandola. Utilizzando per realizzare le sue opere oggetti in disuso che ricicla. E così chiodi, pezzi di ferro, arnesi del lavoro dei campi sono diventati sculture o quadri esposti nella sua bottega rimodernata grazie al lavoro del figlio Pablo con un nome di picassiana memoria. Alla rinfusa in un caleidoscopio di colori e forme fanno capolino le sculture che ritraggono pesci in alluminio e quadri definiti antropologici delle sue prime produzioni che analizzano e bloccano per sempre gli ambienti rurali di un tempo. In una ricerca che fissa su tela le pareti scrostate interne ed esterne e i tetti di un ambiente del secolo scorso dopo gli anni Cinquanta. E ancora le sculture a forma di sedia dedicate ad altri grandi artisti del passato. Una raccolta delle sue produzioni è stata esposta nei mesi scorsi. Sucato è un autodidatta. Che si innamorò da giovane delle opere di Pablo Picasso. Al grande artista spagnolo dice di essersi sempre ispirato. Poi lentamente le sue tele hanno lasciato spazio alla ricerca sulla materia e sull'analisi degli oggetti della civiltà contadina. Sucato elabora di continuo le sue ricerche che lo hanno portato negli anni a farlo conoscere anche attraverso una serie di mostre in tutta Italia. Una analisi che ha sempre condotto dalla provincia, quei luoghi definiti una volta hinterland, in una realtà difficile per chi come lui lavora senza chiedere mai nulla alle istituzioni. Non per snobbismo ma per un grande orgoglio che ne fa un artista a tutto tondo. D'antan. Durante alcuni periodi che lo hanno costretto a rimanere in casa Giusto ha realizzato tanti disegni a china che di recente sono stati esposti nella rassegna 'GraficaMente. "Giovanni, vieni a trovarmi, ho fatto belle cose, ti aspetto", è la periodica telefonata che ricevo. A casa sua davanti ad un piatto di spaghetti con la salsa di pomodoro, illustra nuovi progetti in cantiere e rammenta episodi passati: quando, ad esempio incontrava Renato Guttuso alla Vucciria dove per un periodo, Sucato, gestì un locale per la vendita di vino, sfuso. Oppure quando mi accompagnava a scattare fotografie per realizzare insieme 'Intermedia Art'. Ripensa poi a quei giorni del 1984 che lo videro protagonista del documentario sulle sue opere - girato insieme a Daniele Ciprì - che si può vedere su youtube. L'accensione dell'archivio della memoria scatta sempre dopo qualche secondo di silenzio interrotto dalla parole incastonate da un sorriso e dallo sguardo che fissa il vuoto: "Giovà ti ricordi". E a quel punto il palcoscenico è suo. Guai ad interromperlo. Ricomincerebbe a parlare dalla frase che ha lasciato a metà.