venerdì 10 gennaio 2014

Manlio Corselli: I moti dei Fasci dei lavoratori ed il massacro di Marineo


di Piazza Marineo
MARINEO. Tra le tante recensioni che seguirono all'uscita del volume "I moti dei Fasci dei lavoratori ed il massacro di Marineo" di Antonino Di Sclafani e Ciro Spataro (Ila Palma, 1987) riproponiamo quella di Manlio Corselli, professore associato di Filosofia politica e Diritto costituzionale presso l′Università degli Studi di Palermo, pubblicata nel n° 97 dalla rivista "Nuovi quaderni del Meridione" edita dalla Fondazione Mormino di Palermo.
«La produzione storiografica sui Fasci siciliani si arricchisce di un ulteriore contributo la cui caratteristica non è quella, quantunque importante, della pura e semplice celebrazione delle memorie patrie, ma quella più profonda della capacità del saper leggere dentro alcuni eventi che ancora avvertiamo estremamente vicini alla nostra sensibilità e che percepiamo, senza soluzione di continuità, come pezzi del patrimonio storico di questa nostra terra. Il saggio di Di Sclafani e di Spataro, infatti, tratta di un argomento che, per un verso, segna indelebilmente la memoria collettiva del popolo siciliano e che, per altro verso, costituisce non solo una costante degli interessi degli storici italiani, ma anche stimolante materia per rinnovati impegni esegetici. Come nota Francesco Brancato nella prefazione al volume, il significato di questa ricerca trascende l'obiettivo localistico. Esso invece focalizza l'episodio di Marineo privilegiandolo alla stregua di un osservatorio che permette di dilatare lo sguardo ora nel contesto più generale della realtà sociale, economica e politica dell'Isola, ora nella dinamica del procedimento dell'unificazione nazionale con particolare attenzione ai suoi effetti nell'arco dell'ultimo trentennio del secolo scorso. L'intenzione dei due autori è orientata verso una ricostruzione, rigorosamente comprovata dall'ampia massa di documenti riprodotti nell'Appendice, che a partire da Marineo ponga in luce un certo quadro di vita municipale, comune a buona parte degli enti locali della provincia di Palermo, ove gli interessi del potentato sono tendenzialmente conflittuali con i bisogni e le istanze dei ceti meno abbienti. Marineo, pertanto, diventa cifra emblematica delle condizioni in cui versano i comuni siciliani, chiave di lettura dei modi attraverso cui si gestisce l'amministrazione locale e modello interpretativo della mentalità delle classi dirigenti dell'epoca a considerare il buon governo della cosa pubblica subordinato a consolidare lo stato sociale acquisito. Dall'analisi dei due studiosi emerge in maniera chiara quanto sia ristretto il consenso sociale, come in realtà pochissime famiglie siano in grado di condizionare la pubblica opinione, perché l'alternanza nella direzione politica del Municipio sia quasi sempre scandita da sommosse popolari o dall'intervento di commissari straordinari. Appare interessante notare, altresì, il modulo sostanzialmente premoderno che presiede alla organizzazione dei gruppi dirigenti autoctoni, la cui formazione è tutta quanta garantita dalla provenienza da una famiglia cospicua appartenente al ceto dei "civili". Questo sistema di dirigenza politica, di tanto lontana alla democrazia moderna, assicura a Marineo lunghi periodi di egemonia da parte di alcuni protagonisti del luogo che rispondono al nome dei D'angelo, Calderone e Triolo. Sembra anzi che la conquista di una maggiore coscienza democratica e di una più larga partecipazione popolare non possa non realizzarsi senza l'influenza sui ceti subalterni di qualche famiglia prevalente emarginata dalla conduzione degli affari comunali. Gli Autori, con apprezzabile obiettività, non mancano tuttavia di far notare che, sebbene il Fascio marinese si sia giovato dell'apporto di qualche potentato locale per consolidare nell'agone politico del paese i suoi primi passi, esso trovò successivamente una sua forza coesiva e vitalità nelle energie della povera massa dei contadini e nella solidarietà delle forze lavoratrici organizzate dei centri viciniori. "La nascita del Fascio dei lavoratori a Marineo è sicuramente influenzata dalle lotte tra i partiti amministrativi; ma il suo florido sviluppo affonda le radici nel malcontento popolare, contro i gravami fiscali imposti dallo Stato accentratore che aveva deluso le aspettative dei contadini prima con lo stesso Garibaldi e, in seguito, con i vari provvedimenti della destra e sinistra storica." (p.50) La tesi di Di Sclafani e di Spataro sembra voglia far giustizia di una buona parte degli equivoci che si addensano sui Fasci siciliani e dei luoghi comuni a volte ricorrenti in certi disegni interpretativi tratteggiati troppo sinteticamente. Come si evince dalla loro serrata ricostruzione, quella della povera gente di Marineo, dei cafoni nulla tenenti, fu sì una lotta di popolo ma per necessità attinenti alla sussistenza e non già in omaggio ad ideali avulsi dalla loro sensibilità collettiva. Le invocazioni al re, alla regina e alla Madonna, ricorrenti nei cortei testimoniano una fedeltà allo stato unitario e una devozione ingenua che correla la fede a speranze millenaristiche di redenzione sociale e di promozione umana. Se il socialismo viene avvertito da pochi in modo confuso come generica contestazione verso la proprietà privata, la mancanza di legittimazione sociale del Consiglio comunale è invece subito percepita dal popolo come sopraffazione ed angheria fiscale. "Nelle dimostrazioni, a volte, si inneggiava pure al socialismo, senza, però, consapevolezza di ciò che effettivamente esso rappresentava. Socialismo significata, per il marinese, fine dei dazi e dei balzelli, aumento del misero salario, abolizione della leva obbligatoria, dunque modificazioni di elementi e realtà puramente congiunturali, sorte a causa delle critiche condizioni economiche nei primi anni dell'ultimo decennio del secolo scorso. Non era immaginabile, nel contesto marinese, un tentativo di critica e di discussione dell'entità latifondo, o di promuovere nuovi contratti agrari o di avviare un processo di ricorso al credito." (pp.84-85) Alla luce di queste considerazioni, la chiave di lettura adottata dai due autori ha quindi il pregio di storicizzare gli avvenimenti, riproporzionandoli alla realtà in cui si sviluppano, collocandoli nell'ambiente, nella mentalità e nei costumi. E' una lettura dal di dentro, la quale dimostra la bontà di un metodo di interpretazione storiografica che si sottrae alle secche dell'alternativa se il socialismo abbia ispirato o no siffatti movimenti popolari. Sembra pertanto più feconda la strada che batte la contestualizzazione dei Fasci siciliani al problema della riforma dei poteri locali. Lungo questo versante Di Sclafani e Spataro offrono una persuasiva ricostruzione collegando, sulle orme di Sturzo, la questione meridionale a quella delle municipalità». (Manlio Corselli)