mercoledì 28 agosto 2013
Usi e costumi siciliani: dai saloni del salassatore ai barbieri ambulanti
di Pippo Oddo
Quando mio padre mi portò per la prima volta dal barbiere stavo per compiere quattro anni. Avevo i capelli biondi, lunghi e pettinati a boccoli.
Rammento che mia sorella Giovanna (ormai nel mondo dei più) pregò vivamente papà di attendere ancora qualche anno prima di tagliarmi quei bei riccioli dorati. Sprecò il fiato. E quando ritornai con la testa acconciata finalmente a maschietto si mise a piangere a calde lacrime. Ma prima di lei avevo pianto di rabbia io, non tanto perché mastru Sariddu cominciò a tosarmi come un agnellino, quanto perché quell’uomo dalla testa pelata (che conoscevo bene perché abitava di fronte a casa mia) mi faceva antipatia avendolo visto pochi giorni cavare un molare con la tenaglia non ricordo bene a chi, ma a casa di mio nonno. Sì, perché mastru Sariddu faceva barba e capelli, estirpava denti ed applicava mignatte anche a domicilio. Era questione di prezzo. Il servizio di barba e capelli dentro il salone costava un tumolo (kg.14) di grano all’anno, a domicilio un tumolo e mezzo. I servizi di cavadenti e salassatore (altra prerogativa del barbiere dei tempi andati) si pagavano a parte, ma sempre in natura. È appena il caso di aggiungere che i barbieri di solito avevano anche un asina con la quale andavano a riscuotere l’abbonamento annuo direttamente nelle aie dove si trebbiava il grano. Qualche figaro più moderno aveva la bicicletta attrezzata a salone. (continua)