mercoledì 14 agosto 2013

Cucina popolare siciliana: la salsa di pomodoro conservata in bottiglia


di Pippo Oddo
MARINEO. La strada come laboratorio di preparazione della salsa di pomodoro (prodotto pervenutoci dopo la scoperta dell'America). Quando è nata questa pratica?
Con tutta l'attenzione dedicata all'arte del mangiar bene, Pellegrino Artusi (1820 -1911) si congedò dal mondo senza poter sperimentare i sistemi di preparazione della conserva di pomodoro che, ormai da diversi decenni, sono patrimonio comune di qualsiasi massaia siciliana e costituiscono una fonte di reddito per la popolazione di tanti comuni. «Ho sentito dire – ammetteva nel 1891 lo stesso gastronomo emiliano – che mettendo a riscaldare le bottiglie vuote entro a una stufa e riempiendole quando son ben calde non occorre far bollire la conserva nelle bottiglie; ma questa prova io non l’ho fatta». Il pomodoro, «frutto ornamentale, curiosità esotica solo tardivamente commestibile», alla fine del Seicento, «emerge nella cucina alta grazie al ricettario napoletano di Antonio Latini. A ciò non sembra estraneo un influsso iberico: “alla spagnola” sono denominate varie ricette con impiego di pomodoro, fra cui quella della “salsa di pomodoro”, insaporita con cipolle, “peperolo” e serpillo “o piperna”, accomodata con sale, olio e aceto». Bisognava però aspettare ancora qualche secolo perché il pomodoro cominciasse a trovare piena accoglienza nella cucina popolare siciliana. Senza considerare che, nei primi tempi, questo stesso si poteva fare solo nei mesi estivi, quando maturavano i pomidori. Negli altri periodi dell’anno ci si doveva accontentare di sucu d’astrattu, sugo di pomodoro essiccato al sole. Ancora alla fine dell’Ottocento, la passata di pomodoro non salata si poteva conservare per una diecina di giorni, o poco più. (continua)