venerdì 9 agosto 2013

Quando il pane sapeva di grazia di Dio e tutti avevano un sacro rispetto


di Pippo Oddo
MARINEO. «Quando i bambini sono troppo voraci -scriveva nel 1878 Raffaele Castelli-, dopo di esser cotto il pane, prima di cavarlo dal forno, tolto da questo il lastrone, vi si avvicinano e ne si ritraggono tre volte dicendo: Empiti, lupo, per grazia di Dio! E bisogna sapere che in Sicilia la voracità è detta lupa».
Ma tutti, allora, ricchi e poveri, crapuloni e morti di fame, avevano un sacro rispetto per il pane: rispetto esagerato, forse, patetico addirittura, per quanti oggi subiscono il fascino dei vari mulini bianchi. «Il pane è la grazia di Dio per eccellenza», ammoniva Giuseppe Pitré: «e non si posa né presenta mai sottosopra, che è malaugurio, né si taglia da quel lato (sôlu), che è disprezzo alla Provvidenza di Dio che ce lo manda, né si segna o s’infilza col coltello, che è ferro e quindi maledetto; ma si taglia senz’altro, e quando si ha ad infilare dentro il coltello si bacia prima, si benedice poi e si protesta che è grazia di Diu. Quindi se il pane cade per terra, nel raccoglierlo, si bacia, dicendo: grazia di Diu. Se mangiando ne cascano per terra delle briciole e non si ha cura di raccattarle, si dovranno raccattare poi con le ciglia, morti che saremo. E come grazia di Dio, si giura su di esso toccandolo: Pi sta santa grazia di Diu! E se ne vediamo cadere o buttare un bocconcino per terra, che non si voglia o non si possa altrimenti mangiare, ci affrettiamo a raccoglierlo e a conservarlo in un bucolino pur di non farlo calpestare coi piedi. Il Signore potrebbe farci desiderare quel boccon di pane».