di Nuccio Benanti
Il modo più semplice per conoscere Claude Lévi-Strauss, uno dei più grandi antropologi del Novecento, è leggere il suo libro-diario Tristi Tropici, un saggio che cambiò per sempre i destini dell'antropologia.
E' un dettagliato resoconto di una ricerca sul campo tra le popolazioni amazzoniche, un viaggio intessuto di momenti avventurosi e di notti insonni ingannate a riflettere sulla missione dell’etnografo, del suo rapporto con le popolazioni indigene e con la società che lo ha prodotto. Tra gli interessanti temi che hanno animato il dibattito antropologico, uno – ma non il solo – è quello che riguarda l’opposizione tra la dimensione della natura e quella della cultura. L’Occidente, che per lungo tempo ha considerato il “diverso” con disprezzo, adesso sembra tormentato da un rimorso che lo costringe a guardarsi nello specchio delle società “primitive”, nella speranza di potervi trovare comuni radici, di scoprire, nella somiglianza o nella differenza, la propria identità. Visto in questa ottica, l’etnografo è il prodotto della civiltà colonialista, ma anche il simbolo dell’espiazione di colpe, abbagli, errori ed orrori commessi nel nome di questa presunta superiore cultura. (continua)
Il modo più semplice per conoscere Claude Lévi-Strauss, uno dei più grandi antropologi del Novecento, è leggere il suo libro-diario Tristi Tropici, un saggio che cambiò per sempre i destini dell'antropologia.
E' un dettagliato resoconto di una ricerca sul campo tra le popolazioni amazzoniche, un viaggio intessuto di momenti avventurosi e di notti insonni ingannate a riflettere sulla missione dell’etnografo, del suo rapporto con le popolazioni indigene e con la società che lo ha prodotto. Tra gli interessanti temi che hanno animato il dibattito antropologico, uno – ma non il solo – è quello che riguarda l’opposizione tra la dimensione della natura e quella della cultura. L’Occidente, che per lungo tempo ha considerato il “diverso” con disprezzo, adesso sembra tormentato da un rimorso che lo costringe a guardarsi nello specchio delle società “primitive”, nella speranza di potervi trovare comuni radici, di scoprire, nella somiglianza o nella differenza, la propria identità. Visto in questa ottica, l’etnografo è il prodotto della civiltà colonialista, ma anche il simbolo dell’espiazione di colpe, abbagli, errori ed orrori commessi nel nome di questa presunta superiore cultura. (continua)