venerdì 6 settembre 2013

Fare la verità e non solo dirla: verso nuovi lidi di fedeltà al Vangelo


di Nino Di Sclafani
MARINEO. Sfogliare l’Osservatore Romano del 4 settembre e notare l’ampio spazio dato agli scritti del teologo peruviano Gustavo Gutierrez, fondatore della Teologia della Liberazione, produce una salutare scossa, quasi uno strattone come quelli che si ricevono la mattina quando si indugia ancora al calduccio sotto le coperte. 
Nei sacri palazzi incominciano ad aprirsi finestre e si insinua per le stanze quell’aria fresca invocata da Giovanni XXIII alla vigilia del Concilio Vaticano II. Se agli articoli di Gutierrez si affianca, poi, l’approfondimento dell’arcivescovo Muller, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio) che assieme al teologo sudamericano ha scritto un libro che sta per arrivare nelle librerie dal titolo quanto mai eloquente “Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa”, c’è da spalancare il nostro cuore alla speranza che la svolta di Francesco incomincia a trasferirsi dalle belle parole ai fatti. Non è un caso che l’articolo dell’Arc.vo Muller ha per titolo “Fare la verità e non solo dirla”, che riassume l’impasse dei papati post conciliari, che hanno prodotto grandi riflessioni, si sono fatti carico di denunce anche coraggiose, hanno sciorinato senza risparmiarsi decine di mea culpa sugli errori (e orrori) del passato ma, sostanzialmente non hanno orientato, per usare un’immagine di papa Ratzinger, il timone della barca di Pietro verso nuovi lidi di coerenza e fedeltà al Vangelo di Gesù Cristo. Ho avuto di recente il piacere si soffermarmi sui contenuti della Teologia della Liberazione recensendo l’ultimo libro del teologo Rosario Giuè, Chiesa e liberazione, che è dedicato proprio a questa esperienza ecclesiale. Penso che l’opzione per i poveri, oggi abbracciata generosamente da papa Francesco e nocciolo della Teologia della Liberazione, sia l’anello di congiunzione che ha determinato lo sdoganamento di buona parte di quelle riflessioni ed esperienze che hanno segnato la nuova stagione post-conciliare nell’America latina sin dalla conferenza del CELAM di Medellin. L’articolo di Gutierrez sull’Osservatore Romano si apre con una citazione di Paul Ricoeur: “Non stiamo con i poveri se non siamo contro la povertà”. In ciò risiede tutta la sostanza dell’equivoco “teologico” che ha messo all’indice l’opera dei teologi della liberazione. Può la Chiesa, cioè la comunità intera dei battezzati, cioè tutti noi, esercitarsi ed applicarsi nella carità senza porsi minimamente il problema della rimozione di quelle strutture di peccato che sono artefici della povertà stessa a cui sono oggi condannati i 2/3 dell’umanità? Mi sovviene un’affermazione del vescovo brasiliano Helder Camara: “Se do un pane ai poveri, mi chiamano santo; se chiedo perché i poveri non hanno pane, mi chiamano comunista.” Individuare le cause della povertà a livello economico, sociale e culturale e rimuoverle per garantire ad ogni uomo i diritti fondamentali della persona è così inconciliabile con la prassi evangelica? Oppure è proprio in questo cambio di prospettiva che risiede il messaggio di liberazione di Gesù Cristo? Riconoscerlo come Signore e come “Colui che da compimento all’umano, Salvatore e Liberatore dell’umanità”, apre nuovi orizzonti, ci svela la limitatezza della nostra Fede alimentata solo da belle liturgie e pie devozioni, ma, soprattutto, ridona speranza a tutti quei fratelli che, da una Chiesa così abbarbicata alle sue regole ed ai suoi dogmi, sono stati allontanati, portatori, com’erano, di macchie indelebili. Credo che sia giunto il momento per tutte le persone di buona volontà di porre la mano all’aratro, di rimescolare la malta, oramai indurita, e riavviare il cantiere, sarà faticoso, troveremo ancora ostacoli di ogni sorta, l’Accusatore, ancorché precipitato, trama sempre nell’ombra, ma il Regno di Dio non può più aspettare.