venerdì 11 aprile 2014

L’aspra contesa. Scontri campanilistici nell’800 tra Marineo e Bolognetta


di Santo Lombino
Le relazioni di amicizia, di parentela, i matrimoni, i rapporti di lavoro e di commercio tra gli abitanti dei comuni limitrofi di Ogliastro-Bolognetta e Marineo sono stati assai intensi sin da quando sono nate le due comunità ed ai giorni nostri il loro ampliamento e sviluppo rendono ormai impossibile una separazione netta tra le due popolazioni. 
Non molti forse si sorprenderebbero se venisse proposta l’unificazione amministrativa tra i due paesi. In passato i rapporti di buon vicinato hanno convissuto, come accadeva in tanti altri casi, con manifestazioni più o meno accese di campanilismo, con reciproci scambi di accuse, confronti e competizioni in ogni settore, battute più o meno salaci. Gli abitanti di Marineo, ad esempio, venivano apostrofati col dispregiativo tabbariati, ovverossia, come spiega il vocabolario di Antonino Traina, “linguacciuti”. Per tutta risposta, i marinesi marchiavano gli ogliastresi con l’appellativo di panzuti. La pancia di molti di loro, infatti, cresceva a causa dell’ingrandirsi del fegato dovuto alla malaria, causata della presenza di zone paludose a valle dell’abitato. “Il fegato man mano s’ingrossava e vedevi tutta questa gente qua... con la pancia grossa grossa. Panzarotti li chiamavano…”, ha scritto Antonio Pennacchi nel romanzo “Canale Mussolini” a proposito di quanto avveniva nel Lazio, nelle paludi pontine dei primi decenni del XX secolo. Capitò anche che si passasse dalle parole (e dai pregiudizi) ai fatti, e che si arrivasse perfino a scontri fisici di massa. A metà Ottocento una furibonda contesa portò abitanti della futura Bolognetta e di Marineo a comportamenti così gravi da indurre la magistratura e la polizia borbonica ad intervenire severamente. Due documenti conservati nell’Archivio di Stato di Palermo ci informano che tutto ebbe inizio a S. Maria di Ogliastro un lunedì di Pasqua, il giorno 12 aprile 1852, probabilmente nei giorni della festa straordinaria per il patrono sant’Antonio da Padova. Si tenne allora per le strade del paese la tradizionale corsa dei cavalli, a cui solitamente assisteva una folla di persone convenute da diversi centri. In quella occasione “accadeva briga tra Vincenzo Romano da Ogliastro e un marinese” non meglio identificato. Ciascuno dei due sosteneva infatti che era stato il fantino della propria scuderia a conquistare la palma della vittoria nella competizione. Gli animi si esacerbarono al punto che solo l’intervento di Antonino Castellini, giudice regio di Misilmeri, al cui mandamento apparteneva Ogliastro, evitò che si arrivasse ad aperta violenza tra sostenitori dei due gruppi. La tregua era però solo apparente: a tarda sera un gruppo di abitanti di Marineo fu cacciato via a sassate e i festeggiamenti furono prematuramente interrotti. Il fuoco covò sotto la cenere da aprile ad agosto, fino ai festeggiamenti in onore di San Ciro, patrono del paese sotto la Rocca, che si svolgono annualmente nella seconda metà di quel mese. Fu allora che il contendente marinese, unitosi ad altri compaesani intenzionati a vendicare l’offesa, sorprese col favore del buio, “a circa un miglio“ dal centro abitato di Marineo, e “malmenò forte a pietre” l’avversario Romano e i suoi amici, mentre questi facevano ritorno al loro paese. Per sfuggire all’agguato, riferì al Direttore di polizia ed al Ministero degli interni il giudice regio Vincenzo Vergallo, “uno di loro dovette precipitarsi per il pendio di una contrada che denominasi la guerra onde evitare che male ne venisse”. La riposta non si fece attendere. “Crucciati gli ogliastresi di una vendetta inopportuna, vandalicamente pensarono la dimani vendicare l’offesa sopra due marinesi che per azzardo trovavansi nel territorio di Ogliastro e che nessuna parte aveano avuto nei precedenti occorsi e li percossero gravemente sol perché erano naturali di quel comune”. Uno di loro “ebbe rotto il braccio e la scapola”. La banale diatriba nata durante una festa paesana si era trasformata in un serio problema di ordine pubblico che minacciava la tranquillità delle popolazioni. Le autorità del Regno erano seriamente preoccupate che la “gara municipale tra i due comuni oramai divenuti rivali” arrivasse a produrre nella zona gravi disordini con “tristi conseguenze”. La lite era degenerata in faida, rendendo impossibile non solo alle due tifoserie, ma a tutti gli abitanti dei due paesi la libera circolazione per motivi di lavoro, per commercio, per altre necessità, nel territorio confinante. Così i magistrati competenti ai primi di settembre concertarono di ricorrere alle maniere forti ordinando l’intervento delle forze dell’ordine. Il giudice di Misilmeri dispose l’arresto degli ogliastresi Vincenzo e Placido Romano, Antonino Bertola, Gaspare Oddo e Giovanni Fusillo, sospettati di avere percosso i due marinesi; il giudice regio di Marineo da parte sua fece ammanettare nel comune di sua competenza Giuseppe, Carmelo, Salvatore e Raffaele Delisi, Domenico Sciarabba, Giambattista Lo Proto, indiziati dell’agguato a Romano. Gli undici vengono reclusi nelle carceri circondariali e poi condotti ad Ogliastro, dove erano sorti i primi alterchi, e lì pubblicamente costretti a riappacificarsi “con promessa di stimarsi come a fratelli”. Immaginiamo che la conciliazione tra i due gruppi sia avvenuta in piazza, di fronte ai giudici, ai gendarmi e a grandi ali di folla. Marinesi e ogliastresi furono solennemente avvertiti che ad ogni minima ripresa della disputa avrebbe risposto l’apparato repressivo della “forza pubblica”: chiunque avesse continuato a farsi la guerra sarebbe inesorabilmente ritornato ai ceppi. “I suddetti arrestati”, comunicò con trionfale compiacimento il giudice Vergallo alle superiori autorità dopo aver scongiurato la continuazione all’infinito dello scontro, “sonosi dati un amplesso di pace e gli uni e gli altri hanno fatto solenne e pubblica promissione di guardarsi per lo avvenire come ad amici e fratelli in veneranza delle leggi e della tranquillità che il Real governo ha prescrittto”. Fu così interrotta la spirale di violenza e riportata la calma tra gli abitanti dei due “comuni vicinissimi tra i quali da tempo antichissimo hanno esistite relazioni di parentela, d’industria ed interesse”.