giovedì 13 febbraio 2014

La panchina di Guastella. Brooklyn: un mestiere per Jack Passantino


di Ciro Guastella
NEW YORK. Jack Passantino aveva lasciato Marineo per recarsi in America, non tanto per necessità, perchè lui era benestante, infatti in paese non aveva alcun mestiere e campava con il reddito proveniente da alcune sue proprietà. 
Andò in America a trovare uno zio ed esplorare la possibilità di rimanervi. Era l’inizio degli anni ’60, a quei tempi tanti marinesi lasciavano il paese, molti avevano acquisito esperienza edile durante i lavori di costruzione della diga dello Scanzano e l’America si sa offriva opportunità enormi per chi aveva ambizione e volontà di inserirsi nel tessuto industriale del nuovo mondo. Jack valutava la possibilità di introdursi al lavoro ma era anche consapevole che bisognava impegnarsi e, francamente, a lui mancavano l’abitudine e la vocazione necessarie per farlo. L’evento determinante per convincerlo a rimanere fu quando, dopo poco tempo, la mamma e le sorelle da Marineo lo raggiunsero a Brooklyn. Ora Jack studiava su quale percorso avrebbe dovuto prendere la sua vita lavorativa. Il suo amico d’infanzia Decimo Francaviglia gli dava suggerimenti che lui spesso scartava perché non appropriati alla sua indole. Trovava diversi impieghi che nel giro di pochi giorni riteneva faticosi, specialmente la parte che richiedeva di alzarsi presto la mattina. Un giorno gli capitò di visitare una delle pizzerie del vicinato dove notava l’intenso traffico per l’acquisto delle delizie appena sfornate e fu in quell’occasione che un lampo di genio colpì Jack: avrebbe imparato a fare la pizza e si sarebbe messo in commercio per conto proprio! Così in cucina, avendo dato istruzione di non intervenire alla mamma e le sorelle presenti, Jack incominciò a fare pratica con l’impasto della farina sul tavolo, che per scarso senso di disciplina finiva per imbiancare parte del pavimento. Inoltre, una volta aggiungeva acqua ed un’altra volta farina per amalgamare l’impasto che appariva o molto duro o troppo liquido. Quando finalmente, dopo alcuni pugni bene assestati, ottenne un impasto consistente pressoché ragionevole, la pasta venne coperta e messa a meritato riposo per la lievitazione. Jack per la soddisfazione si fumò quasi l’intero pacchetto di Marlboro, mentre la mamma e le sorelle scuotevano la testa da destra a sinistra e da sinistra a destra. Jack ricordava che durante la leva militare, a Napoli, aveva visto i pizzaioli partenopei mentre lavoravano la pasta per la pizza e gli era rimasto impresso il lancio della sfoglia pastosa che, dopo alcune roteazioni in aria, atterrava nelle mani esperte del pizzaiolo: la scena oltre a dimostrare l’abilità del maestro, dava un effetto coreografico che i clienti approvavano con grande di ammirazione. Per stimolare il contesto visivo durante la preparazione, il nostro eroe concluse, questa procedura doveva essere assolutamente eseguita nel suo nuovo business. La pasta, intanto, era diventata quasi il doppio da quella che sembrava di essere all’inizio. Jack ne toglieva una manciata e la lavorava a forma di palla; per renderla quindi sottile ebbe difficoltà perché, data la natura elastica della mistura, ora stentava ad ottenere una sfoglia che arrivasse alla forma voluta. Alla fine si accontentò di qualcosa che appariva né quadrata, né rotonda o ovale, ma più vicina alla forma di un polmone con dissimili penzoloni laterali e qualche buco che aveva tentato di otturare. Delicatamente Jack la sollevava dal tavolo e, cercando di mantenerla intera, la lanciava in aria, ma l’indirizzo per il ritorno era vago perché, venendo giù, finiva a terra o a cavallo di qualche sedia. Altri lanci che provò durante la giornata vennero giù a coprirgli la testa o quelle delle donne che stavano a guardare. Alcune sfoglie, che tentò di afferrare fra le mani, rimanevano bucate ed attaccate alle dita. Ma c’erano anche le sfoglie che non ritornavano, erano quelle che sfidando la legge di gravità si appiccicavano al tetto della cucina ed erano tante da dare l’impressione di aver formato grezzi crateri lunari. Jack provò ancora simili esperimenti, ma con risultati altrettanto deludenti. Ricordo l'orgoglio di Jack mentre, dopo qualche tempo, mostrando il tetto della cucina ancora con le tracce della pasta, osservava la mostruosità e diceva che non era mai riuscito ad infornare nemmeno una pizzetta...! Il nostro mancato pizzaiolo, qualche anno dopo, trovò lavoro nel reparto trasporti urbani della città di New York dove vi rimase fino a quando raggiunse l’età per ottenere la pensione.