martedì 22 ottobre 2013

Usi e costumi siciliani: il gelato, prelibatezza inventata in Sicilia


di Pippo Oddo
MARINEO. Ivi è raccolta in neve la fragola gentil, che di lontano pur con soave odor tradì se stessa, vi è il salubre limon, vi è il molle latte...
Quando il poeta Giuseppe Parini (prete brianteo fin troppo sensibile al fascino del gentil sesso e vero estimatore delle raffinatezze culinarie) tesseva con questi versi le lodi del gelato, i gelatieri siciliani si erano fatti apprezzare nelle maggiori capitali europee da almeno un secolo. E i sorbetti di Sicilia, confezionati a mo' di frutta, avevano raggiunto un così alto livello di perfezione da sembrare doni del Creatore. Traevano perciò in inganno persino i più navigati uomini di mondo. A fare la figura del provinciale di fronte a uno di questi capolavori di arte dolciaria fu, nel giugno 1770, persino Patrick Brydone, «gentiluomo scozzese di 34 anni che univa alla facilità di scrittura un notevole interesse per i viaggi ed una viva curiosità scientifica», il quale fu casualmente invitato a un pranzo offerto dalla nobiltà di Girgenti al proprio vescovo. «Perché – spiega Giuseppe Pitrè – finita la seconda portata, e presentatoglisi a guisa di retroguardia, altra maniera di gelati, un servitore gli pose davanti una bella e grossa pesca, che egli prese per frutta naturale: e tagliatela in mezzo, e portatene la metà in bocca, a bella prima ne rimase scosso, e come per allargare lo spazio gonfiò la gote. Ma l'intensità del freddo vincendola sul ripiego e sulla sofferenza, egli la palleggiò con la lingua, poi non potendo più oltre resistere, con gli occhi rossi di lacrime la rigettò disperato nel piatto, bestemmiando come un turco e imprecando al servitore, dal quale si credette burlato quasi gli avesse offerto per quel frutto una palla di neve dipinta». Nelle principali città siciliane a quell'epoca non c'era ricevimento ufficiale, riunione mondana, serata danzante o festa di gala che si concludesse senza spreco di sorbetti. A tal proposito basti ricordare un episodio già annotato nel Diario del Marchese di Villabianca e riproposto ai lettori da Pitrè nel primo volume della sua prestigiosa opera La vita in Palermo cento e più anni fa. Nel corso di una sfarzosa cena servita il 13 maggio 1799 nell'esclusiva cornice della terrazza del Palazzo Butera, per l'occasione convertita in galleria coperta, mentre due orchestre di strumenti a fiato gareggiavano in virtuosismi nel tentativo di ingraziarsi la crema dell'aristocrazia siciliana e le più alte sfere della gerarchia militare, la neve consumata per i gelati fu di 40 carichi, ossia cinque tonnellate, chilogrammo più, chilogrammo meno. (continua)