mercoledì 8 luglio 2009

Ad ogni tempo la sua... Dimostranza


di Nuccio Benanti
La Dimostranza di Francesco Pernice fu rappresentata a Marineo nel 1894, in un momento in cui, all’indomani della repressione del moto dei Fasci dei Lavoratori, in paese era in corso un ampio dibattito su varie tematiche storiche, sociali e politiche ad opera dei numerosi uomini di cultura presenti in paese.
Tra il 1892 e il 1893, il sacerdote riformista Giuseppe Calderone aveva pubblicato le sue «Memorie storico-geografiche di Marineo e dintorni», unendo alcuni suoi scritti apparsi sull’«Archivio storico siciliano» (la rivista periodica della Società Siciliana di Storia Patria, della quale egli era membro). Ma in un campo in cui i sacerdoti dettavano legge, quell’anno l’organizzazione della sacra rappresentazione della vita di san Ciro fu invece affidata ad un laico, appunto, il maestro Pernice. Ciò avvenne in un momento in cui gli intellettuali siciliani, sempre più numerosi, abbracciavano l’ideologia socialista. E l’evento ebbe una grande eco a Palermo, tanto che il Corriere dell’Isola, tra il 21 e il 23 settembre di quell’anno, decise di pubblicarne una dettagliata cronaca a puntate a firma di un altro marinese, Francesco Sanfilippo, che esordisce con queste parole:
«Non è la solita novella piena di delirio poetico che vi descrivo, perché non mi sento nato a buona luna; ma è lo studio accurato e veritiero delle cose e dei costumi montanari, che rendono la vita quassù soggetto osservabile, affatto differente dagli usi comuni di cui è piena la città».
Di questo clima rivoluzionario e della diffidenza sull’uso retorico della parola la cronaca della Dimostranza è specchio veritiero: tanto che nell’articolo vennero rappresentate diverse tenzoni oratorie di tipo sofistico (si fa per dire) come questa:
- Difensore: «Compare Peppi, siate uomo di pancia, vi prego io pel San Giovanni, gettate a libertà l’amico».
- Giudice: «Eh compare Paolino, non posso, l’omertà finìo, perché deve scontare il dito che rubò a San Giusto».
Fu in seguito a quei mutamenti sociali di fine Ottocento che alle recite cominciarono a partecipare anche i ceti più umili. Quale risposta, un gruppo di civili, riuscì a ritagliarsi un proprio spazio attraverso l’introduzione dei cavalli nella spettacolare scena quindicesima. Ciò avvenne, evidentemente, anche per distinguersi dalla massa del popolo costretta a recitare a piedi, vale a dire a guardare il civili col naso all’insù.
Così, quando l’imperatore Diocleziano colpì (per sbaglio, facendolo imbizzarrire) il suo cavallo che si stava pacificamente gustando un po’ di prosodia il sant’uomo protestò:
- San Ciro: «Ohè! Compare Caifas! Come diavolo vi chiamate, che ci debbo lasciare la pelle qui io forse? ».
- Imperatore: «Orbo degli occhi, è stato lo sceltro che ha urtato sul muso del cavallo, è stato…».
- San Ciro: «Che scecco e scecco! Lo buttate via lo scecco e ne fate senza! ».
E sono numerosi i passi in cui si accenna alla problematica relativa alle differenze sociali. Appartenente ad una famiglia povera, il diavolo era pagato dall’angelo che recitava nella stessa scena:
«Il Diavolo guadagna sei tarì al giorno; signori socialisti, aprite gli orecchi».
E sottilmente Sanfilippo polemizza: da un lato contro i falsi edotti, abili imbonitori di masse e spregiudicati prestigiatori di una vuota capacità oratoria; e dall’altro lato, contro le reticenze della massa appiedata ad accogliere le proposte innovative delle intelligenze liberali che animavano la vita culturale marinese.
Nella cronaca del 1894 si legge, sottilmente, anche una critica alle sfere alte della politica nazionale. Riferendosi al prefetto Siriano, scrive Sanfilippo:
«Forse quel tribunale lì, in mezzo alla strada, ispirò l’on. Zanardelli il concetto di pretori ambulanti?»
La Dimostranza era stata una grande conquista per il popolo, che poteva finalmente prendersi beffa, nelle pubbliche piazze, del potere costituito, sia laico che religioso, trasformandola - difatto - in un grande baccanale:
«Uno dei poveri che riceve l’elemosina da San Ciro suole essere un Vito Scarafuni - il quale - non crede ad altro che al nettare, la professione di fede che il Pulci fa dire al lercio gigante Margutte. Beve beato Scarafuni, egli non cerca arzigogoli, non si dilunga in ringraziamenti, non crede ad altro… che al vino».
Il potere costituito, invece, si difendeva come poteva: vale a dire con le vergate e le scalciate dei loro complici cavalli.
La cronaca si chiude con un significativo aneddoto, che vide protagonista un bambino rivoluzionario, che ad un certo punto, convinto dal fratellino, decise di abbandonare la gloria:
«Ci furono risa, ci furono rimproveri anco per il biricchino guastamestieri; ma il fatto sta che la Dimostranza rimase senza la sintesi riflessa; e le ferventi donnicciuole senza il santo! E tutto per un pezzo di torrone!»

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Al Sig. Nuccio Benanti
Ma la Dimostranza si fa ogni anno?
Saluti

Nuccio Benanti ha detto...

La Dimostranza viene organizzata in genere ogni 3 o 4 anni.
Altre informazioni puoi trovarle a questo indirizzo:

http://marineo-giornale.blogspot.com/2008/07/x-la-dimostranza-della-vita-e-martirio.html